Quando si parla di aborto, viene pressoché automatico associare il tema al ramo femminile: sono le donne a essere direttamente coinvolte nell’evento della gestazione. È, questo, un retaggio del pensiero femminista, ben riassunto nello slogan trito e ritrito: «L’utero è mio è lo gestisco io»… una trappola ideologica nella quale anche le persone di buona fede spesso rischiano di cadere, senza rendersene conto.
Eppure, se si va ad analizzare la realtà dei fatti in maniera oggettiva risulta imprescindibile il riconoscimento del fatto che un figlio (quello che la neolingua è solita chiamare «il prodotto del concepimento» o «il grumo di cellule») nasce dall’incontro tra due persone di sesso opposto, quindi ha di certo una madre ma ha altresì un padre, il quale dovrebbe quindi avere tutti i diritti per esprimere una posizione sulla vita del suo bambino e non, come per esempio cita la nostrana legge 194/78, avere voce in capitolo solamente «ove la donna lo consenta». Inoltre, un’altra sottolineatura non di secondaria importanza, e che spesso manda in black-out i pro-choice, interessa il fatto che il bambino nel grembo materno è altro dalla donna: è una persona a sé, unica e irripetibile, che intesse con la madre un legame di stretta dipendenza ma che tuttavia non è parte di essa, come invece lo sono un arto o un organo; utero o non utero, insomma, a partire dal momento del concepimento si ha a che fare con un nuovo individuo, portatore di diritti (in primis quello alla vita).
Ad ogni modo, la convinzione che di aborto possano parlare solamente le donne è talmente radicata nel pensiero comune da trovare voce e spazio anche nelle aule della politica. È questo il caso recente dell’Australia, dove Larissa Waters, afferente al partito politico dei Verdi Australiani, si è scagliata contro il senatore cattolico sessantenne Barry O’Sullivan (nella foto in alto), reo di aver stimolato la discussione su temi eticamente sensibili come, appunto, quello dell’aborto: «Il senatore O’Sullivan», ha affermato la politica, «ha bisogno di mettere le sue mani e i suoi rosari sulle mie ovaie e su quelle delle 10.000 donne del Queensland che abortiscono ogni anno». Una frase forte, senza giri di parole, che la Waters ha successivamente ritirato in quanto offensiva nei confronti della religione: sul fatto che di aborto possano parlare solamente le donne, invece, non vi è stato alcun passo indietro.
Tuttavia il senatore O’Sullivan, «stanco del “vomito” e del “vetriolo” che riceve da colleghi di estrema sinistra ogni volta che cerca di sollevare “questioni intorno a valori forti”», questa volta ha deciso di reagire all’attacco con una presa di posizione alquanto originale: all’inizio della seduta convocata per il 14 novembre ha preso la parola e ha dichiarato che quel giorno si sentiva donna e che, in quanto tale, si sentiva assolutamente legittimato a parlare di aborto senza per questo venire attaccato. Oltre a questo, nel corso del suo intervento O’Sullivan ha anche lamentato il fatto di venire sempre attaccato per le proprie convinzioni religiose (e questo secondo un’altra convinzione tanto diffusa, quanto errata, per la quale fede e ragione non possono camminare assieme) e non ha mancato di rimarcare che le posizioni di cui si fa portavoce sono condivise da una «maggioranza sempre più silenziosa» di australiani, che «hanno paura di parlare per paura di essere attaccati per le loro credenze». E questo proprio perché le persone che portano avanti un’ideale (errato) di libertà, secondo il quale le donne dovrebbero essere le sole padrone della vita e della morte del bambino che portano in grembo, ovviamente nel nome dell’autodeterminazione, sono poi le prime a censurare e demonizzare le opinioni di coloro che la pensano diversamente.
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