«Ad oggi la misoginia e la violenza nei confronti delle donne sono quello che ha contraddistinto tutte le relazioni di potere in cui ci sono uomini e donne. Viviamo in un contesto non paritario in cui le donne non hanno alcun riconoscimento di dignità di esseri umani paritariamente ritenuti rispetto agli uomini». Per quanto sembri surreale, queste parole sono state pronunciate in Italia nell’Anno Domini 2019, e non da qualche troll o hater particolarmente scatenato sui social network, no. Queste parole le ha pronunciate un giudice, Paola Di Nicola, in diretta televisiva su La 7, intervistata da Lilli Gruber in una puntata dedicata al famigerato Congresso mondiale delle famiglie di Verona.
Di fronte a questa visione fantascientifica anche l’ultimo dei giornalisti sarebbe scattato sulla sedia chiedendo all’interlocutore almeno: «Scusi, può ripetere?». Ma la Gruber invece rincara la dose con l’ormai stanco refrain del “ritorno al Medioevo”, dove Medioevo è inteso ormai più come insulto che come riferimento temporale. A poco è valso l’intervento di Massimo Gandolfini – in collegamento nella stessa puntata – che ha elencato una serie di figure luminosissime di quella che la vulgata considera “epoca buia”: la Gruber non lo ha lasciato proseguire ribattendo che nel Medioevo “si bruciavano le streghe”, altro argomento con cui si attacca la Chiesa, quando la storiografia ha ampiamente demolito questa “leggenda nera”. Ma il siparietto appena descritto non è che un tassello delle enormità che i detrattori dell’appuntamento veronese stanno mettendo in campo per denigrarlo. Non che la cosa sorprenda, lascia però sconcertati la pochezza delle menzogne usate da pulpiti considerati illustri.
Tra questi anche il segretario del Pd, Nicola Zingaretti, secondo cui l’appuntamento di Verona mira a «costringere a casa le donne», dichiarazione “cugina” di quella dell’ex ministro Carlo Calenda che non solo condivide sui social network un programma fake costruito ad arte per denigrare l’appuntamento veronese (l’ha fatto apposta o non si è accorto? Cosa è più grave?), ma spiega che il programma prevederebbe «discriminazione, sottomissione per le donne, limitazione dei diritti e delle libertà per tutti». Da un ex ministro e da un segretario di partito – così come da una giornalista e da un giudice – è lecito aspettarsi opinioni basate su dati reali e non su bufale e/o visioni del mondo fantascientifiche? Per Zingaretti e Calenda comunque, così come per le femministe di Non una di meno che si preparano a manifestare contro il congresso il prossimo sabato, il problema sembra solo uno, la presunta volontà degli organizzatori di impedire alle donne di lavorare fuori casa.
Poco importa se non è così, poco importa se non è scritto da nessuna parte, poco importa se oggi in realtà il problema è l’opposto, ovvero che gran parte delle donne sono “forzate al lavoro” da capi che non danno permessi per accudire i figli, o i genitori anziani, o che trattengono una, due, tre ore dopo la fine del turno, magari senza riconoscere gli straordinari, poco importa se alle donne viene spesso negato il part time, o un orario a misura di famiglia, o le si licenzia se le esigenze famigliari sono considerate troppe, o le si paga troppo poco: quello che conta sembra essere soltanto la narrazione fatta da pulpiti considerati prestigiosi. Ma che mostrano il loro vero volto ogni volta che abdicano alla verità.
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