Abbastanza luce per credere e abbastanza penombra per scegliere di non buttarsi nel mistero. Oggi la Chiesa fa memoria di Nostra Signora de Guadalupe, la cui apparizione quasi 500 anni fa risultò decisiva per l’evangelizzazione del Latinoamerica. Una devozione consolidata. Eppure, anche la Madonna più importante del Messico e del Nuovo Mondo ha bisogno ogni tanto di una rinfrescatina, più che altro per disincrostare la vulgata popolare di quei falsi miti che la rendono più un feticcio miracolistico che un autentico prodigio di Dio, operato davanti agli occhi, e sul mantello di quel Juan Diego che oggi è santo e che verrà ricordato proprio dopodomani.
E’ vero che l’immagine impressa ha una temperatura umana? E che gli occhi roteano? Oppure che seguendo la composizione astrofloreale del mantello della Vergine si ottiene una melodia armonica? In definitiva: che cosa c’è di vero nelle voci prodigiose attribuite all’immagine e che internet divulga con maggiore velocità rispetto alle caravelle dei conquistadores?
Per smontare le leggende nere e restituirci in tutta la sua potenza il miracolo dell’immagine impressa sulla tilma di San Juan Diego, è intervenuto il padre Eduardo Chávez, postulatore della causa di canonizzazione di San Juan Diego e uno dei maggiori esperti dell’immagine conservata a Città del Messico.
In un colloquio con Aci Prensa, il padre ha detto che quella della temperatura umana è una bufala: «La temperatura è quella data dal materiale della tela, prodotta da una pianta, l’agave che si chiama ixotl». Così come non è vero che gli occhi della Vergine si muovano. Semplicemente è stato mal interpretato quanto notò l’oftalmologo Enrique Graue il quale vide come gli occhi della Vergine avessero una profondità e dei riflessi umani. E’ vero invece, e questo è l’aspetto che più interessa i cattolici, che l’immagine non è stata fabbricata da mani umane o pitturata.
Il sacerdote messicano ha ribadito che semmai è questo il mito, dato che la tilma non ha nessuna traccia di pittura. «E’ un’immagine impressa» e di questo non c’è spiegazione. Così come non si spiega che l’acido che si rovesciò su di essa nel ‘700 non abbia provocato nessuna conseguenza. Elementi che sono decisivi per orientare la natura miracolosa dell’“icona”. Esattamente come il fatto che, seguendo la linearità delle stelle e i fuori impressi nel manto, si ottiene una melodia armonica, cosa che non si può ottenere se si prova a trascrivere sul pentagramma la sequenza astrofloreale delle copie create dall’uomo. Anche qui, un’altra piccola traccia del miracolo. Cosa che non si può dire invece della voce secondo cui una delle mani della Vergine è più scura dell’altra, quasi a voler significare la mescolanza della razza bianca con quella nera.
«Sono interpretazioni più devozionali che realistiche», dice, chiudendo così la porta alle interpretazioni postume immigrazioniste che oggi vanno tanto per la maggiore. Perché, una cosa la Vergine di Guadalupe non sarà mai: un concentrato di aspirazioni per le ideologie del momento. Come chi ha provato e prova tutt’oggi a tirarle il mantello per inquadrarla come una semplice divinità atzeca cristianizzata. Niente di tutto questo, ribatte il padre: «Non esiste nessuna adattamento con forme idolatriche». E’ vero che i locali l’hanno sempre chiamata “nuestra madrecita”, ma era un titolo e non l’appellativo come se si trattasse di una Madre terra cristianizzata. «I missionari di allora non hanno mai usato l’immagine come proveniente dalla cultura pagana per il semplice motivo che per loro quelle divinità erano una raffigurazione di satana e non avrebbero mai permesso che Maria si vestisse con quelle sembianze». Qualcuno sta pensando alla Pachamama?
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