Non solo la scienza intesa come metodo scientifico, nato come cammino dalla creazione (e dalle creature) al Creatore per arrivare alla comprensione e alla conoscenza di Dio (nato con intenti teologici, dunque), ma anche la medicina, la cura dell’altro. In un ottimo saggio, “Case di Dio, ospedali degli uomini” (Fede & Cultura 2012) Francesco Agnoli ha mostrato come gli ospedali moderni nacquero dopo che donne e uomini iniziarono ad utilizzare le chiese per l’assistenza dei malati. Verso la fine del quarto secolo, la vedova romana Marcella adottò la sua dimora a convento per le monache-infermiere. Qualcosa di simile ad un ospedale arrivò nel 390 a Roma, dalla felice intuizione di Fabiola, la quale raccolse tutte le persone sofferenti trovate per le strade, prestando loro le attenzioni di una vera infermiera. E così via.
Nel maggio scorso il prof. Gary Ferngren, docente di Storia presso l’Oregon State University, ha pubblicato in America il libro “Medicine & Religion: A Historical Introduction“ (Johns Hopkins 2014) dove, in otto capitoli ben scritti e accuratamente ricchi di fonti, porta il lettore dai tempi antichi al periodo greco-romano, al cristianesimo primitivo, al medioevo, al mondo islamico, al periodo moderno, e ai secoli 19° e 20°. Viene considerato il primo libro che esamina globalmente il rapporto tra medicina e religione nella tradizione occidentale, dall’antichità all’era moderna. Le radici della medicina occidentale, arriva a concludere, si trovano negli effetti trasformativi della tradizione giudaico-cristiana.
Mentre prima del cristianesimo la malattia era vissuta con ansia e disprezzo, concepita come castigo divino, l’incarnazione di Gesù cambia radicalmente le cose. Un esempio: «Passando, Gesù vide un uomo che era cieco fin dalla nascita. “Maestro”, gli chiesero i discepoli, “perché quest’uomo è nato cieco? È stato per colpa dei suoi peccati o per quelli dei suoi genitori?“. Gesù rispose: “Né per un motivo, né per l’altro, ma è così perché in lui si possa dimostrare la potenza di Dio”» (Gv 9,2-3). La malattia non è una punizione, spiega Gesù. E’ un dono, misterioso e incomprensibile ovviamente, ma la prospettiva con cui guardare i sofferenti viene radicalmente mutata. Lo stesso Gesù sceglie di morire condividendo con gli uomini la sofferenza e l’umiliazione e l’esperienza della croce, vissuta ogni giorno da malati e sofferenti, diventa la condizione imprescindibile per poter seguirLo, per stare con Lui: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua» (Lc 9,23).
Il prof. Ferngren si sofferma molto sullo spirito moderno della medicina il quale «non necessariamente favorisce la compassione». Certo i progressi medici degli ultimi secoli sono stati fondamentali, nonostante si siano verificati al di fuori del legame con il cristianesimo (gli ospedali oggi sono giustamente indipendenti dalla Chiesa) tuttavia, avverte lo storico, «io non disapprovo affatto questi contributi per le cure mediche quando dico che un risultato non intenzionale, ma forse inevitabile, della rimozione dei valori religiosi nell’assistenza sanitaria è stato quello di eliminare la fonte stessa da cui sorge la compassione» (pp. 212-213).