La sofferenza, la malattia e la morte sono fasi della vita che aprono a interrogativi importanti sul senso da attribuire alla vita terrena e sul tema della salvezza delle anime. Aspetti che la Chiesa ha sempre tenuto in massima considerazione, e oggi? Lo abbiamo chiesto a don Massimo Angelelli, direttore dell’Ufficio Nazionale per la pastorale della salute, don Maurizio Funazzi, che svolge il proprio ministero presso una casa di riposo in Lombardia, don Fabio Giovenzana, per anni cappellano in ospedale a Sesto San Giovanni, e don Giovanni Maria Pertile, Direttore dell’Ufficio della pastorale della salute della Diocesi di Ferrara-Comacchio.
Alcuni noti medici cattolici parlano della loro esperienza con il fine vita: Filippo Maria Boscia, presidente dell’Amci, Antonio Spagnolo, direttore del dipartimento di bioetica alla facoltà di Medicina alla Cattolica di Roma, Massimo Gandolfini, neurochirurgo al Poliambulanza di Brescia, e Renzo Puccetti, medico e bioeticista, concordano sul fatto che il compito del medico non si esaurisce con l’aspetto sanitario.
La celebrazione delle esequie è un altro esempio di come la superficialità e la crisi della fede hanno invaso il senso della fine. Parlandone con un impresa funebre ci si accorge come si stanno diffondendo le indistinte “funeral house”: oggi morire è affare di burocrazia che si scontra con l’impreparazione dei parenti rimasti, i quali non sanno e non vogliono gestire l’incomodo…
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