Il Cardinale Matteo Maria Zuppi ha aperto oggi il secondo giorno di lavori della 77/ma Assemblea Generale della CEI. Un lungo intervento che ha toccato diversi punti, dall’alluvione in Emilia-Romagna, alla questione denatalità e accoglienza dei migranti, la lotta alle mafie, fino a cose più ecclesiali, come il cammino sinodale.
Ma al cuore del suo discorso non poteva non esserci la questione della pace, visto che il capo dei vescovi italiani è fresco di designazione da parte di Francesco a condurre, in accordo con la Segreteria di Stato, «una missione che contribuisca ad allentare le tensioni» e porti a «percorsi di pace» nella crisi ucraina. Ovviamente il cardinale non è entrato nei dettagli di questa missione, che resta segreta, ma ha indicato alcuni elementi di riflessione che certamente lo guideranno nel suo compito. «Gli siamo grati per la sua profezia», ha detto Zuppi richiamando l’impegno del Papa per la pace, «così rara oggi, quando parlare di pace sembra evitare di schierarsi o non riconoscere le responsabilità. La sua voce si fa carico dell’ansia profonda, talvolta inespressa, spesso inascoltata, dei popoli che hanno bisogno della pace. La guerra è una pandemia».
Il cardinale Zuppi ha poi citato papa Francesco nel suo recente viaggio in Ungheria, quando «si è interrogato: “Dove sono gli sforzi creativi di pace?”. Lasciamoci inquietare da questa domanda», ha ricordato l’arcivescovo di Bologna, «perché non rimanga solo la logica spietata del conflitto».
Quindi alcuni passaggi per il popolo italiano. «Siamo il popolo della pace, a partire da Gesù che è la nostra pace. Lo siamo per la storia del nostro Paese, per la sua collocazione nel Mediterraneo, cerniera tra Nord e Sud, ma anche tra Est e Ovest. Lo siamo – mi sembra – per le radici più profonde e caratteristiche del nostro popolo. Come cristiani italiani, con il Papa, siamo chiamati a una fervente e insistente preghiera per la pace in Ucraina e perché “si affratellino tutti i popoli della terra e fiorisca in essi e sempre regni la desideratissima pace” (Pacem in terris, 91). Preghino tutte le nostre comunità intensamente per la pace! L’impegno di intercessione cambia la storia, come diceva Giorgio La Pira».
L’invito a rafforzare una cultura di pace sembra in qualche modo voler tentare una breccia in «un’informazione così complessa [che] spinge all’indifferenza, a essere spettatori della guerra ridotta a gioco». Siamo in un tempo emozionale e soggettivo, ha detto Zuppi, «che rivela e accentua processi di deculturazione: tutto diventa fluido, anche quello che ieri sarebbe stato impensabile. Cadono saldi riferimenti, mentre ci si esalta (e poi ci si deprime) nella drammatica vertigine della soggettività dell’io isolato, cui sembra che tutto parta da lui».
Il cammino per tentare davvero di fermare la follia della crisi ucraina è su un terreno minato e scivoloso, ma si colloca pienamente nel solco che la Chiesa ha sempre tracciato nella storia, contro tutti gli «imperi». Di fronte a uno scenario in cui si parla sempre più di armi, aerei e combattimenti, davanti a un rischio escalation sempre più evidente, gli sforzi del Papa e la missione del cardinale Zuppi sono una via di speranza per tutti gli uomini di buona volontà.
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