È impressionante guardare la foto che ritraggono i cattolici vietnamiti radunati nella provincia di Thai Binh per partecipare alla festa dei martiri di Don Phu, sembra venire da un’altra epoca, e invece è solo di due giorni fa. Una folla di persone, ravvicinate, senza mascherina senza timore alcuno, solo per pregare. D’altra parte il Vietnam aveva fatto parlare di sé già in primavera, poiché nonostante una popolazione di 97milioni di abitanti e un lungo tratto di confine condiviso con la Cina, non aveva praticamente registrato, ufficialmente alcuna vittima causata dalla pandemia. «Una storia di successo», l’aveva definita la Cnn, che non fa eccezione in questa seconda ondata, dove le vittime del Covid sono pochissime. Per questo i cattolici vietnamiti hanno partecipato numerosi alla solenne festa dei martiri loro patroni. E forse è in realtà questo il vero successo di questo Paese e di quest’epoca. La celebrazione si è svolta lo scorso 15 novembre, in modo che le persone potessero partecipare poiché la domenica successiva è la festa del Cristo Re, ma la solennità ricorre oggi. Quale giorno migliore per chieder loro una grazia?
Canonizzati nel 1988 da San Giovanni Paolo II, i martiri vietnamiti furono torturati e uccisi tra il 1745 al 1862 per essersi rifiutati di abiurare la fede. Erano 117, tra di loro otto vescovi, cinquanta sacerdoti, cinquantanove laici, e una donna, Agnese Le Thi Thành, madre di sei bambini. Di loro 21 erano missionari stranieri. «Come ricordarli tutti? – si chiedeva il Papa polacco in occasione della loro canonizzazione – è sufficiente richiamare una o due figure, come quella del padre Vincent Liem, domenicano, mandato al martirio nel 1773; è il primo di 96 martiri di nazionalità vietnamita. E poi un altro sacerdote, Andrè Dung-Lac, i cui genitori, pagani, erano poverissimi; affidato dall’infanzia ad un catechista, diventa prete nel 1823, e fu parroco e missionario in diverse località del Paese. Salvato dalla prigione più di una volta, grazie ai riscatti generosamente pagati dai fedeli, desiderava ardentemente il martirio. “Chi muore per la fede” diceva “sale in cielo; al contrario, noi che ci nascondiamo continuamente, spendiamo del denaro per sottrarci ai persecutori! Sarebbe molto meglio lasciarci arrestare e morire”. Sostenuto da un grande zelo e dalla grazia del Signore, subì il martirio della decapitazione ad Hanoi il 21 dicembre 1839».
A opporsi alla beatificazione fu il Partito comunista al governo allora, e mentre oggi la libertà religiosa è tecnicamente sancita dalle leggi del Paese, i cattolici dicono di dover ancora affrontare la persecuzione del governo.
Di loro disse ancora san Giovanni Paolo II «I martiri vietnamiti “seminando fra le lacrime”, in realtà iniziarono un dialogo profondo e liberatore con la popolazione e la cultura della loro nazione, proclamando prima di tutto la verità e l’universalità della fede in Dio, proponendo inoltre una gerarchia di valori e di doveri particolarmente adeguata alla cultura religiosa di tutto il mondo orientale. Sotto la guida del primo catechismo vietnamita, diedero testimonianza del fatto che è necessario adorare un solo Dio, come Dio unico che ha creato cielo e terra. Di fronte alle disposizioni coattive delle autorità riguardo alla pratica della fede, essi affermarono la propria libertà di credo, sostenendo con umile coraggio che la religione cristiana era l’unica cosa che non potevano abbandonare, poiché non potevano disobbedire al supremo sovrano: il Signore».
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