Il cortocircuito che non ti aspetti. Il colpo di scena che ribalta i ruoli. Il politicamente corretto che inciampa nelle sue stesse trame causando un’implosione dai tratti comici. Ma andiamo con ordine. Siamo a Torino. È il 13 gennaio. Al Consiglio comunale del capoluogo piemontese si discute una delibera che ha per oggetto il sostegno alle donne migranti. Poteva essere la solita sonnacchiosa riunione di inizio anno, ma a farla entrare nella cronaca del giorno ci ha pensato lui, Silvio Viale.
Capogruppo di +Europa e Radicali, ginecologo ultra noto alle cronache, Viale è uno strenuo sostenitore dell’aborto a tutto campo, nella sua lunga carriera aveva spiegato di averne effettuati circa diecimila e si era vantato di “frullarli” addirittura i feti, tale era il suo grado di partecipazione alla causa. Promotore della Ru486 (come poteva essere altrimenti?) favorevole all’utero in affitto («Anche a pagamento», ci aveva tenuto a precisare) era stato soprannominato per questo suo lungo curriculum “il ginecologo dalla parte delle donne”.
Un ossimoro che è andato ingigantendosi lo scorso anno quando è finito al centro di un’inchiesta, ancora in corso, coordinata dai pm Lea Lamonaca e Delia Boschetto, per molestie sessuali. Sette le donne, di età compresa tra i 20 e i 35 anni, che nel 2024 hanno dichiarato di aver subito molestie e palpeggiamenti. Episodi che si sarebbero consumati durante le visite ginecologiche, accompagnati ad altri atteggiamenti molesti, disturbanti e domande a sfondo sessuale.
Oggi Viale torna a far parlare di sé. In consiglio comunale. Prendendo la parola, accusa una ex collega – di Demos – Elena Apollonio di aver «scopiazzato» un documento che lui aveva depositato mesi prima, alla reazione di sdegno di lei e di altre donne – evidentemente presenti ma che non sono inquadrate nel video diventato virale – il ginecologo rilancia dicendo: «Se l’antipatia personale supera la questione politica avete sbagliato lavoro. Tornate nei vostri quartieri a fare le casalinghe». A quel punto scoppia la bagarre in Sala Rossa. Ludovica Cioria, vicepresidente del consiglio comunale, prova a calmare le acque chiedendo che si ristabilisca un metodo, mentre Viale, per cercare di difendersi, si impantana ancora di più.
«Mia moglie è orgogliosamente casalinga – afferma – per me fare la casalinga non è titolo di demerito, tanto per cominciare». Il clima è rovente. La parola “casalinga” per certi ambienti di sinistra è un drappo rosso, e che a pronunciarla sia uno dei ginecologi simbolo dell’autodeterminazione della donna, che proprio lui esorti le donne a tornare a casa a lavare i piatti, manda tutti in tilt. La Cioria gli toglie la parola: «Io non accetto che vengano utilizzate in aula durante una discussione determinate diciture e appellativi rivolte a colleghe e colleghi, come se chi sta qui non avesse il titolo di stare qui e intervenire. È inaccettabile». Viale protesta: «È inaccettabile la sua censura».
Il resto è cronaca. Il video diventa virale. La notizia finisce ovunque. E a sinistra probabilmente sono lì a chiedersi come è possibile che il sessismo che tanto combattono si sia incistato lì, impastato con quei beceri stereotipi medievali che sono da estirpare e che invece escono dalle bocche autorevoli dei paladini delle donne. In barba a tutte le omelie sull’autodeterminazione che ci propinano da qualunque pulpito. Ma a cui sono loro evidentemente, i primi a non credere. (Foto Imagoeconomica)
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