Uno dei massimo poeti del Novecento, Thomas Stearns Eliot (1888-1965), Premio Nobel per la letteratura nel 1948, compose nel 1927 (poco dopo la sua conversione al cristianesimo) una poesia, Journey of the Magi, qui proposta nella traduzione italiana realizzata nel 2014 da Nicola D’Ugo, poeta, scrittore e traduttore.
Come nel racconto evangelico, i Magi seguono la stella sino al luogo dov’è nato il Salvatore, ma nella poesia tutto è metafora della condizione umana di profondo bisogno, d’incompiutezza, di totale sproporzione rispetto al Dio che si fa uomo in un bimbo piccolissimo.
Il poeta colloca il viaggio in inverno, tra le mille difficoltà, e poi trova la meta nei disagi, grandi. E in più c’è tutt’attorno la gente, che cerca di scoraggiare la speranza dei cercatori. Ma poi finalmente ecco la visione di quel Pargolo divino, Colui che portando la nuova vita dà la morte al vecchio peccato per lasciare ancora una volta sulla Terra l’uomo non totalmente compiuto. Perché sì, non è qui, in questo mondo, il nostro approdo finale. Ecco cosa significativamente ci ricorda, tra l’altro, l’Epifania del Signore, cioè il Suo manifestarsi alle genti.
Viaggio dei Magi
di T. S. Eliot
«Fu una gelida venuta per noi,
Proprio il tempo peggiore dell’anno
Per un viaggio, e per un viaggio lungo come questo:
Le strade affondate e la stagione rigida,
Nel cuore fitto dell’inverno.»
E i cammelli irritati, gli zoccoli doloranti, restii,
Che si stendevano sulla neve che si andava sciogliendo.
Ci furono momenti in cui rimpiangemmo
I palazzi estivi sui pendii, le terrazze,
E le fanciulle di seta che portano i sorbetti.
Poi i cammellieri che sbottavano in bestemmie e lamentele
E se ne scappavano, e rivolevano i loro liquori e le loro donne,
E i falò notturni che si spegnevano, e l’assenza di ripari,
E le città inospitali, e ostili le cittadine,
E sporchissimi i paesini che vendevano a prezzi esosi:
Sono stati momenti durissimi per noi.
Alla fine preferimmo viaggiare intere nottate,
Dormendo a tratti,
Con le voci che ci cantavano nelle orecchie, che dicevano
Che era tutta una pazzia.
Poi all’alba scendemmo in una valle temperata,
Umida, sotto la coltre di neve, odorante di vegetazione,
Con un ruscello che scorreva ed un mulino ad acqua che picchiava il buio
E tre alberi davanti al cielo basso.
E un vecchio cavallo bianco galoppò via per i prati.
Poi arrivammo ad una bettola con dei pampini sulla volta,
Sei mani nel vano della porta si giocavano a dadi pezzi d’argento,
E i piedi scalciavano gli otri vuoti.
Ma di informazioni non ce n’erano, e così proseguimmo
E arrivammo di sera, senza un istante di anticipo
Trovando il luogo; fu (direste voi) una soddisfazione.
Tutto questo è successo molto tempo fa, lo ricordo,
E lo farei ancora, ma appuntatevi
Questo appuntatevi
Questo: siamo stati condotti per tutta quella strada per
Una Nascita o per una Morte? Vi fu una Nascita, certamente,
Ne abbiamo avuto la prova e mai un dubbio. Avevo visto le nascite e le morti,
Ma avevo creduto che fossero diverse; questa Nascita fu
Una dura e amara agonia per noi, come la Morte, la nostra morte.
Tornammo nei nostri possedimenti, in questi Regni,
Ma non più a nostro agio qui, coi vecchi ordinamenti,
Tra un popolo straniero aggrappato ai propri dèi.
Sarei lieto di un’altra morte.