Presso l’Università di Cincinnati, nello Ohio, è promosso per il 24 marzo un incontro dal titolo: “Building Bridges: A Dialogue on Faith and the LGBTQ Community”, ossia “Costruire ponti: un dialogo sulla fede e la comunità LGBTQ”.
Tra i relatori della giornata sono previsti padre James Martin, suor Jeannine Gramick e Jamie Manson, ossia tre persone che, a diverso titolo, stanno premendo affinché la Chiesa si apra alle istanze del mondo LGBT.
Il gesuita Martin – dal cui libro Building A Bridge: How the Catholic Church and the LGBTQ Community Can Enter Into a Relationship of Respect, Compassion and Sensitivity prende spunto il titolo dell’incontro – è infatti noto per essersi esposto nel chiedere un cambiamento di linguaggio da parte della Chiesa rispetto al tema dell’omosessualità, ha auspicato che in un prossimo futuro le coppie omosessuali potranno baciarsi allo scambio della pace durante la Santa Messa ed è perfino arrivato a sostenere che sarebbe stato Dio a rendere tali le persone con tendenze omosessuali (dando così per scontato che si tratti di una caratteristica innata e immutabile, e non una tendenza) e che «alcuni santi erano probabilmente gay. Una certa parte dell’umanità è gay. Anche una certa parte dei santi poteva esserlo. Potresti essere sorpreso quando in Paradiso verrai salutato da uomini e donne Lgbt».
Posizioni che hanno suscitato grande clamore e che hanno trovato ampio spazio sui social, ma che sono state condannate duramente da parte di alti esponenti ecclesiastici, non ultimo il cardinal Robert Sarah, prefetto della Congregazione per il culto divino.
Non sono un esempio migliore suor Gramick, la suora “ribelle” nota per il suo impegno in favore di una piena accettazione delle persone gay, lesbiche e trans all’interno della Chiesa, e Manson, editorialista ed editore del National Catholic Reporter.
Di fronte a questa iniziativa, l’arcivescovo Dennis Marion Schnurr non è stato a guardare. Innanzitutto, ha fatto rimuovere dal titolo la parola “cattolicesimo”, dando così un forte segnale di presa di distanza dall’iniziativa. A seguire, il 9 marzo, ha anche inviato a tutti i sacerdoti e diaconi della sua diocesi una lettera nella quale, secondo quanto riporta LifeSiteNews, ha chiarito che l’evento «non è in alcun modo sponsorizzato, sancito o associato alla Chiesa cattolica. […] In effetti, a uno dei relatori [suor Gramick, ndR] è stato ordinato di non parlare a nome della Chiesa cattolica negli Stati Uniti a causa del grave errore del suo insegnamento. Il Codice di Diritto Canonico (Can. 216) afferma anche che “nessuna iniziativa deve assumere il nome di cattolico, se non viene dato il consenso dell’autorità ecclesiastica competente”». E, conclude in maniera risoluta l’arcivescovo, «il mio permesso in questo caso non è stato richiesto, né sarebbe stato dato».
Seppure, dunque, a Cincinnati la Chiesa abbia risposto in maniera chiara alle pretese del mondo Lgbt, l’episodio si aggiunge ad altri, non solo negli Stati Uniti, dove preti e religiosi si fanno promotori di una pastorale che è ambigua rispetto alle chiare posizioni della dottrina della Chiesa sugli atti omosessuali.
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