Pubblichiamo un breve stralcio della Lettera Pastorale 2021-2022 che il vescovo di Macerata, monsignor Nazzareno Marconi, ha scritto alla sua diocesi con un titolo significativo: «Per una Chiesa viva e non sopravissuta» (fonte: Diocesi di Macerata)
di Nazzareno Marconi*
(…) L’antropologia cristiana tripartita insegnata da san Paolo (1Tess 5,23): spirito, psiche e corpo, ci mette sull’avviso del fatto che una persona sana può cadere in una malattia sia fisica, che psichica che spirituale. Questa pandemia è così preoccupante, perché con le sue conseguenze mette a repentaglio tutti e tre gli aspetti della sanità personale.
Come Chiesa non possiamo preoccuparci solo del rischio per la salute fisica e mentale, ma dobbiamo farlo anche per quello di una malattia dell’anima, provocata dall’isolamento nella vita di fede. Una semplice riflessione ci offre quasi una controprova della verità di questo assunto. Se infatti come dice un pensiero moderno molto diffuso: la fede fosse una cosa intima, privata, da vivere da soli e nel nascondimento, questo tempo di isolamento avrebbe dovuto segnare il trionfo della fede, l’aumento della devozione, la crescita esponenziale della preghiera. Che ognuno legga il suo cuore con verità: è stato vero per te? Davvero il lockdown ha fatto crescere la tua fede, aumentato i tuoi tempi di preghiera, ha riempito di Dio gli spazi vuoti delle tue giornate? Per tanti, se non per tutti, non è stato così, perché la fede ha una essenziale e profonda radice sociale, fraterna, comunionale. Non si vive bene da soli, né si crede bene da soli. D’altra parte la Bibbia lo dice con chiarezza fin dal suo inizio: “Il Signore Dio disse: «Non è bene che l’uomo sia solo: gli voglio fare un aiuto che gli sia simile»” (Gn 2,18).
Per questo ci sono tanto mancate le occasioni di incontro: per meditare la Parola, per celebrare la fede, per vivere il servizio al bene comune. Ci è mancato l’abbraccio di pace ed il contatto di una mano che ti benedice, la vibrazione della voce di un amico che canta al tuo fianco lo stesso salmo, come la fatica condivisa di aiutare chi ha bisogno, senza barriere e schermi. Quella della fede come fatto intimo, privato, isolato, da tenere nascosto dentro una vita solitaria, si è dimostrata una teoria che non funziona. Chi teorizza una tale fede individualistica, intimistica, isolata, solitamente di fede ne ha poca e non ha vero interesse a che questa fede cresca, né in lui né in altri.
Inviterei tutti a dirlo con chiarezza al prossimo “esperto” che dopo la pandemia davanti ad una processione gioiosa, ad un coro che canta con entusiasmo, ad uno scambio del segno di pace troppo affettuoso, storcerà il naso lodando di nuovo la fede intima, privata, non ostentata. La pandemia ci ha insegnato che la fede per vivere e crescere si deve incarnare in azioni pubbliche, concrete, deve infettare la vita. (…)
*Vescovo di Macerata
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