Dopo monsignor Thomas Tobin, vescovo di Providence, e monsignor Robert Barron, vescovo ausiliare di Los Angeles, un altro pastore statunitense ha deciso di far sentire con forza la propria voce sull’importanza della coerenza, in tema di aborto, da parte dei politici cattolici – o che tali si dichiarano. E’ mons. Thomas Daly, vescovo di Spokane, capoluogo dell’omonima contea nello Stato di Washington, il quale, in una lettera del 1 febbraio indirizzata alla sua diocesi, ha affermato, o meglio ribadito, un principio molto chiaro: i politici abortisti sarebbe meglio stessero lontani dalla Comunione. Non solo.
Prendendo spunto dal recente e terrificante ampliamento della normativa abortista introdotto dallo Stato di New York, il vescovo ha pure invitato questi uomini impegnati nelle istituzioni – per lo meno quei cattolici che fanno riferimento alla sua diocesi – anzitutto a confessarsi.
«I politici che risiedono nella diocesi cattolica di Spokane, e che ostinatamente perseverano nel loro sostegno pubblico all’aborto, non dovrebbero ricevere la Comunione senza prima essersi riconciliati a Cristo e alla Chiesa», sono state le esatte parole di mons. Daly, il quale ha poi voluto fare un esplicito richiamo, condannandole, alle nuove norme ultrabortiste.
«Gli sforzi per ampliare l’accesso all’aborto, permettendo l’uccisione di bambini fino al momento della nascita», ha scritto il vescovo di Spokane, «sono malvagi. I bambini sono un dono di Dio, indipendentemente dalle circostanze del loro concepimento. Essi non solo hanno diritto alla vita, ma noi come società abbiamo l’obbligo morale di proteggerli».
Per sciogliere ogni dubbio sulla chiarezza del suo richiamo alla coerenza dei politici cattolici sul tema della vita nascente, Daly ha poi voluto, come si dice in questi casi, fare nomi e cognomi: «Il campione di questa legislazione sull’aborto è Andrew Cuomo, cattolico e governatore di New York. Il governatore Cuomo cita spesso la sua fede cattolica a sostegno della legislazione che lui sostiene. Ma la sua testimonianza pubblica come politico cattolico, unita al suo strenuo sostegno all’aborto, è qualcosa di inaccettabile».
La lettera di mons. Daly ha avuto enorme eco in Rete nelle score ore, a conferma di come le sue parole siano state davvero coraggiose. Tuttavia, è bene sottolineare che il fatto che un richiamo del genere faccia notizia è in realtà solo una dimostrazione dei tempi duri e bizzarri che stiamo vivendo. Infatti, è la Legge ecclesiastica e, precisamente, il canone 915 a sancire l’impossibilità ad accedere all’Eucaristia per i peccatori manifesti, categoria nella quale rientrano evidentemente i cattolici abortisti impegnati in politica.
«Non siano ammessi alla sacra Comunione gli scomunicati e gli interdetti, dopo l’irrogazione o la dichiarazione della pena e gli altri che ostinatamente perseverano in peccato grave manifesto», recita, per la precisione, la disposizione normativa in oggetto. Parole dunque chiarissime, che non solo non abbisognano di alcun commento, ma che alimentano un dubbio importante: quanti pastori fanno ancora rispettare questo fondamentale divieto? E soprattutto perché c’è bisogno che il mons. Daly di turno lo ricordi con un’apposita lettera? Si tratta con ogni evidenza di domande retoriche, nel senso che sottintendono una risposta molto chiara. Molto chiara e, purtroppo per il mondo cattolico di oggi, molto amara.
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