La Colombia è una nazione purtroppo flagellata dal crimine come dimostra il fatto che, solo nel 2018, siano stati commessi 41.755 omicidi (ben 1.402 più dell’anno precedente), con almeno 6.808 crimini riconducibili alle guerre tra bande. Ciò nonostante, c’è chi non si arrende. No, non stiamo parlando di un politico, di un magistrato e neppure di un alto ufficiale di polizia, bensì di un vescovo: monsignor Rubén Darío Jaramillo Montoya di Buenaventura che, con i suoi 400.000 abitanti, essendo il principale porto colombiano nel Pacifico, è purtroppo un punto chiave nel commercio internazionale di droga.
La cosa interessante è però che, per dichiarare guerra al crimine, monsignor Jaramillo non si è limitato a prediche dall’ambone, a lanciare appelli o petizioni – tutte iniziative lodevoli sia chiaro ma, tutto sommato, già viste -, no: il vescovo è salito direttamente a bordo di un mezzo dei vigili del fuoco girando i quartieri più malfamati della sua città spruzzando acqua santa, da lui benedetta proprio nel tentativo di fermare l’azione dei narcotrafficanti e di altri gruppi illegali.
Un’azione di cui c’era bisogno, si potrebbe commentare, dato che nel 2014 l’organizzazione Human Right Watch aveva assegnato a Buenaventura il titolo di città più pericolosa della Colombia. Al punto che inizialmente pare che lo stesso vescovo avesse perfino considerato la possibilità di sorvolare Buenaventura in elicottero, ipotesi poi sfumata – anche se alcuni media l’hanno comunque poi rilanciata come una notizia vera. Ad ogni modo, il suo tour cittadino con l’acqua santa – e in abiti rigorosamente religiosi e il crocefisso al collo ben in vista – monsignor Jaramillo l’ha fatto veramente.
Ora, c’è da scommettere che una simile iniziativa sarà da molti liquidata come un gesto bizzarro, dimostrativo, al massimo folkloristico. Del resto, lo scetticismo diffuso dalla cultura dominante rispetto a tutto ciò che sa di sacro è ormai largamente radicato nell’opinione pubblica occidentale. Eppure quanto fatto da monsignor Jaramillo – che non è stato un «maxi esorcismo», come superficialmente riportato alcune fonti – è davvero significativo; non solo perché ricorda il rito della benedizione con l’acqua santa e l’uso dell’aspergillum o aspensorio – che, per quanto non disciplinato da norme specifiche, rappresenta un pilastro nella vita cristiana di una comunità -, ma anche perché invita tutti, non solo in Colombia ma anche a noi che apprendiamo di questo fatto, a riflettere sul significato soprannaturale di tali consacrazioni.
Tutto ciò è estremamente rilevante perché anche in ambito cattolico, ormai, sembra prevalere una interpretazione solo sociologica del crimine, letto come fenomeno di devianza recuperabile esclusivamente con strumenti quali l’educazione, la prevenzione e le cultura della legalità. Con il suo gesto, invece, il vescovo colombiano ricorda almeno due cose fondamentali, ossia il fatto che tutto ciò che accade è sotto il dominio anzitutto di Dio e che in ciascuno di noi, a partire dal peggiore dei delinquenti, alberga un’anima che la grazia e la benedizione possono intercettare da un momento all’altro, anche laddove e quando meno uno se lo aspetterebbe.
L’iniziativa di monsignor Jaramillo – «una manifestazione cittadina che si esprime nella benedizione, che cercherà la protezione di Dio sulla città, così fortemente colpita dalla violenza», come specificato in un comunicato dalla Conferenza Episcopale Colombiana – ha dunque il grande merito di ricordare, non solo ai suoi fedeli evidentemente, l’esistenza di Qualcuno ma cui tutto, ma proprio tutto, dipende. Un Qualcuno spesso trascurato ma che, se siamo cristiani, del quale non dobbiamo temere di chiedere la protezione. Anche contro il crimine e la violenza.
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