Da giorni, come sappiamo, l’intera Francia è attraversata da una grande protesta, quella dei cosiddetti gilet jaune,i gilet gialli, chiamati così per via della casacca giallo fluorescente sfoggiata dai manifestanti. Ufficialmente iniziata il 17 novembre scorso in opposizione al rincaro delle accise sui carburanti – rispettivamente di 0,76 euro per il gasolio e 0,39 per la benzina –, questa grande onda gialla, che non interessa solamente Parigi, come si potrebbe pensare seguendo tg spesso focalizzati sulla capitale, è in realtà espressione di un disagio più esteso e profondo, che vede oggi accomunati operai, disoccupati e pensionati per lo più provenienti dalle zone periferiche della Francia, quelle povere e dimenticate.
Sì, perché se da un lato i sociologi avranno il loro bel daffare per esaminare le dinamiche di questo imprevisto quanto impetuoso movimento, dall’altro appare evidente la matrice geografica provinciale dei gilet jaune, con la prima ondata di manifestazioni e dei centinaia di fermi stradali che ha riguardato soprattutto i piccoli centri: uno su cinque al di sotto dei 5.000 mila abitanti, il 42% fino a 20.000 residenti. Benché di provenienza periferica, l’imponente onda gialla ha tuttavia messo letteralmente sotto scacco il presidente francese, Emmanuel Macron, il quale – pur condannando le violenze – sta politicamente indietreggiando davanti ai gilet jaune.
L’ultimo annuncio dell’inquilino dell’Eliseo per cercare di calmare le acque è quello di aumentare di 100 euro al mese, dal 2019, il salario minimo. Se si tratta di una mossa destinata a rivelarsi efficace, lo si capirà a breve. Ma intanto è il caso di confrontarsi con una domanda: la Chiesa, in tutto questo, come si pone? I prelati francesi hanno per caso preso posizione contro i gilet gialli? Decisamente no, anzi. Comprendono il malessere che si agita nel loro Paese. E lo hanno dichiarato in modo molto chiaro.
«Nel momento in cui scriviamo», hanno difatti affermato in una recente nota i vescovi del Consiglio permanente della Conferenza episcopale francese, «il nostro Paese non è ancora emerso dalla cosiddetta crisi dei ‘gilet gialli’: una crisi che rivela un malessere molto profondo e di vecchia data, che genera una seria sfiducia nei confronti dei leader politici». Inoltre, pur riconoscendo la pericolosità di una protesta ad oltranza («Sarebbe certamente molto dannoso se questa situazione deleteria si prolungasse»), i vescovi francesi hanno messo tutti in guardia in guardia da letture semplicistiche sulla stessa: «La posta in gioco è tutt’altro che congiunturale: riguarda la nostra capacità collettiva di sperare e costruire il futuro».
Nello stesso comunicato, la Conferenza episcopale francese ha poi sottolineato un aspetto interessante, a proposito di un altro pronunciamento dei vescovi francesi, risalente a due anni fa, che riletto oggi suona decisamente profetico rispetto al malessere che ha alimenta le proteste tutt’ora in corso: «Bisognerebbe essere sordi o ciechi per non essere consci di stanchezza, frustrazioni, a volte paure e persino rabbia, intensificati dagli attentati e dalle aggressioni, che abitano in una parte importante degli abitanti del nostro Paese e che esprimono così attese e profondi desideri di cambiamento».
«Sarebbe necessario essere indifferenti e insensibili», aggiungevano sempre due anni or sono i vescovi francesi, «per non essere toccati dalle situazioni di precarietà ed esclusione che molti vivono sul territorio nazionale». Ora, con questo non si vuole certo affermare che la Conferenza episcopale francese avesse perfettamente previsto la mobilitazione dei gilet jaune. Tuttavia è innegabile come i vescovi francesi, come i passaggi riportati dimostrano, avessero già tempo addietro le idee decisamente chiare sul malessere e sull’inquietudine che attraversava il loro Paese. Segno che, per quanto i politici siano attenti e gli studiosi di scienze sociali professionali, l’acume e la saggezza della sua voce rendono ancora oggi la Chiesa un interlocutore vigile, cui conviene prestare sempre ascolto.
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