«Togliete a un villaggio il parroco, e dopo cinque anni in questo villaggio adoreranno gli animali». Ancora oggi, anzi oggi più che mai le parole del santo curato d’Ars suonano profetiche perché intelligentemente riconoscono ad un certo animalismo, che spesso e volentieri fa rima con veganesimo, una dimensione religiosa concorrenziale rispetto a quella tradizionale. Che poi sono, suppergiù, le medesime conclusioni cui perviene un’interessante e recente analisi a firma di Anna Abbott apparsa sul National Catholic Register, il più antico quotidiano cattolico nazionale negli Stati Uniti.
In questo articolo, eloquentemente intitolato «The popularity of veganism and vegetarianism show a hunger for the transcendent», si prende infatti spunto da alcune recenti proteste ad opera di attivisti per i diritti degli animali per porre in evidenzia un fatto semplice quanto sorprendente, e cioè la metamorfosi del veganesimo e del vegetarianesimo da opzioni dietetiche intraprese per motivi morali o salutistici a religioni provviste di veri e propri codici morali. Con sanzioni molto chiare per chi li trasgredisce, come le «scomuniche» per quanti – anche senza giungere al sacrilego consumo di carne – si cibassero di pesce o uova.
Non sorprenderà dunque apprendere come, se da un lato il 47% dei vegetariani, secondo un sondaggio, si dichiara non attivamente religioso, dall’altro, esistono ormai casi giudiziari – come quello di Jordi Casamitjana nel Regno Unito – di lavoratori che sostengono di essere stati licenziati a causa delle loro convinzioni sul veganesimo. «Quindi», argomenta la Abbott, «nel veganesimo sembra esserci una qualche tensione religiosa, soprattutto se si osservano i suoi principi e le sue pratiche».
In effetti, a favore di questa lettura depongono tutta una serie di indizi. Come la presenza, in siti internet di attivisti per i diritti degli animali, di sezioni dedicate alla «spiritualità vegana»; per non parlare, poi, di figure come la sacerdotessa vegana Maple Rudynski. D’accordo, ma che religione è quella vegana? La domanda è interessante, anche se è difficile rispondere in due parole. In estrema sintesi, alla luce di quanto riporta anche il National Catholic Register, la potremmo definire una fede neopagana in cui da un lato esistono rigidissime regole alimentari ma, dall’altro, prevalgono arbitrio e libertà massima, sulla scia dei contenuti della «liberazione sessuale».
Quel che è importante capire, però, è che il rispetto alla vita della cultura vegana e animalista in generale vale solo, per l’appunto, per il mondo animale. Non per quello umano. Ed è così da sempre. In tempi antichi, per esempio, non risulta che il filosofo Plutarco abbia mai avuto da ridire sulla schiavitù – pratica assai diffusa anche dalle sue parti, e certo non rispettosa della dignità umana – mentre invece tuonò senza pietà contro i cittadini facoltosi, colpevoli di mangiare carne animale: «Che crudeltà! E’ terribile vedere imbandite le mense dei ricchi, che usano i cuochi, professionisti o semplici cucinieri, come acconciatori di cadaveri» (Del mangiar carne, trattati sugli animali).
Lo stesso Friedrich Nietzsche, per passare a epoche meno remote e più vicine alla nostra, una volta ebbe – come noto – pietà per le pene d’un cavallo, ma non pare coltivasse grande simpatia per gli umani poco prestanti: «I deboli e in malriusciti devono perire, questo è il principio del nostro amore gli uomini […] Che cos’è più dannoso di qualsiasi vizio? Agire pietosamente verso tutti i malriusciti e i deboli» (L’anticristo).
Allo stesso modo, l’oncologo Umberto Veronesi – un vegetariano convinto -, da un lato era favorevole alla legalizzazione di droghe leggere, aborto, eutanasia e provetta, e, dall’altro, arrivava a dichiararsi estimatore dell’intelletto e della spiritualità degli elefanti: «Se gli elefanti di cui parlava Montaigne potessero parlare, sarebbero quasi come noi … Magari ci racconterebbero i contenuti delle loro preghiere […] Probabilmente ne concluderebbero che non vi è alcuna ragione evolutiva che li induca necessariamente a credere» (La libertà della vita).
Non c’è insomma dubbio – anche se coloro che in queste “filosofie di vita” si riconoscono spesso non ne sono consapevoli – che vegetarianesimo e veganesimo riflettano un bisogno trascendentale e una dimensione religiosa. E’ però importante sottolineare che, a dispetto delle apparenze, non si tratta di religioni rispettose della vita e, soprattutto, dell’essere umano in quanto tale. Può apparire un aspetto secondario, ma non lo è affatto, anche se la cultura dominante e i media ad essa asserviti, così benevoli verso il mondo vegano, si guardano bene dal dircelo.
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