La situazione di emergenza sanitaria legata al Covid-19 pare essere ancora lontana da una (positiva) risoluzione e i timori in vista dell’avvicinarsi del periodo autunnale e invernale si fanno sentire: tutto viaggia nell’incertezza, come sempre quando si ha a che fare con una cosa nuova, che bisogna prendersi il tempo per conoscere.
In questo clima, in tanti – compresi persone molto in alto nel mondo politico ed economico – stanno riponendo la propria speranza nella produzione di un vaccino contro il virus SARS-CoV-2: sono tra i 120 e i 200 i vaccini in corso di sviluppo, una decina dei quali già in fase di sperimentazione clinica.
Ma è giusto confidare in questa via? E a quali condizioni? Paul Cullen, medico di laboratorio e presidente dell’associazione “Medici per la vita”, si è interrogato su questi aspetti e ha fornito interessanti dati utili alla riflessione dalle colonne del Tagespost, con un lungo articolo dal titolo: La strana pandemia – Perché il vaccino contro il virus SARS-CoV-2 potrebbe non essere una buona idea.
QUANDO È UTILE UN VACCINO?
Partiamo da un dato: non sempre i vaccini sono utili. Affinché lo siano, afferma Cullen, devono soddisfare dei criteri fondamentali. Innanzitutto, «la malattia da vaccinare deve essere sufficientemente grave da giustificare la vaccinazione di un gran numero di persone»: persone che, sane, potrebbero anche non entrare mai a contatto con il virus, «pertanto bisogna essere sicuri che i benefici superino i rischi con grande certezza e con un ampio margine».
Oltre a questo, «l’agente patogeno non deve cambiare» e «dovrebbe essere presente solo negli esseri umani», altrimenti si corre il rischio di somministrare un vaccino poco incisivo nella sua efficacia. Infine, «la vaccinazione dovrebbe garantire una protezione completa e a lungo termine contro la malattia bersaglio».
Un eventuale vaccino contro il Covid soddisfa questi criteri? Per Cullen, la risposta è negativa. In primo luogo, in relazione al fatto che «i decorsi gravi di Covid-19 sono limitati a persone molto anziane con malattie precedenti, con poche eccezioni». In seconda istanza, perché «il virus è estremamente suscettibile alle mutazioni e quasi onnipresente nel mondo animale». Inoltre, «dati recenti suggeriscono anche che l’immunogenicità del vaccino può essere difficile da ottenere» e, altro dato rilevante, in quanto pare che gli anticorpi sviluppati in seguito all’infezione diminuiscano rapidamente nell’arco del tempo, e «questo calo sarebbe ancora più probabile con una vaccinazione».
ITER PER LA PRODUZIONE DI UN VACCINO
Il vaccino, affinché possa essere diffuso su larga scala, deve compiere un lungo iter, tanto che solitamente sono necessari 6-10 anni prima che si arrivi a una conclusione: dalla produzione, ai test della fase preclinica in provetta e su animali, a tre fasi cliniche sugli uomini (prima su 100 persone, poi su 1.000, poi su 30-50.000). Si tratta dunque di una procedura non scontata, come per esempio dimostra il fatto che non si è ancora arrivati a produrre un vaccino contro l’HIV. E che appunto richiede anni, perché una «lunga osservazione di molte persone serve anche a scoprire effetti collaterali rari e gravi».
ETICITÀ DEI VACCINI
Un ultimo aspetto, assai rilevante in ottica di fede, è quindi quello legato alle linee cellulari sulle quali viene prodotto il vaccino. Diversi vaccini in corso di produzione, infatti, sono stati ottenuti utilizzando bambini abortiti (ovviamente volontariamente, dal momento che devono essere in salute). Altri vaccini, invece, sono costituiti da molecole di RNA messaggero (mRNA): una pratica controversa per l’alto rischio che comporta, tanto che ad oggi «sono stati finora approvati solo in medicina veterinaria (salmone e maiale) e non nell’uomo. Il rischio principale è che possa scatenare gravi reazioni autoimmuni». Ancora più rischioso è quindi il vaccino a DNA, per il quale addirittura «esiste la possibilità che parte del DNA del vaccino si integri nel nostro DNA».
CONCLUSIONI
In conclusione, dunque, per Cullen, se da un lato non è scontato che si arrivi a produrre un vaccino contro la SARS-CoV-2, dall’altra questo insuccesso a livello scientifico sarebbe comunque meglio «che provocare ingenti danni alla salute con un prodotto semilavorato e inefficace, per il quale – non va dimenticato – non pagherebbe il produttore del vaccino, bensì il grande pubblico. In retrospettiva, uno scenario del genere potrebbe rivelarsi la più grande decisione sbagliata dell’intero episodio del coronavirus».
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