La Commissione americana per la libertà religiosa internazionale (Uscirf) si è detta «profondamente delusa» dal rinnovo dell’«Accordo provvisorio» tra Vaticano e Cina, siglato lo scorso 22 ottobre. Il dialogo che il Vaticano ha deciso di rinnovare ancora con il governo cinese riguarda, una tra tutte, la questione della nomina dei vescovi, a quattro anni di distanza dallo storico «Accordo provvisorio», siglato con la Repubblica popolare cinese nel 2018.
Risultati eclatanti, in questo caso, ancora non si sono registrati: le nomine episcopali seguite alla rinnovata intesa sono solo sei, di cui due già stabilite prima dell’accordo stesso. E non si assisteva alla nomina di un vescovo da più di un anno. C’è inoltre stato l’insediamento di sei vescovi, in alcune diocesi, tre di essi nominati dal governo e tre nominati dal Vaticano.
Non solo scarsi risultati ma, ciò di cui viene accusato il Vaticano, dal commissario dell’Uscirf, Stephen Schneck, è di adottare una politica troppo accondiscendente verso la pervasiva presenza del regime, nella vita dei credenti cinesi. Tanto più che il presidente Xi Jinping, primo leader dopo Mao Tse-Tung a rimanere così a lungo alla guida del Partito Comunista Cinese (PCC), al 20° Congresso Nazionale del Partito, si è detto apertamente intenzionato ad imprimere una spinta verso la «“sinicizzazione” della religione”, guidando “proattivamente l’adattamento della religione e della società socialista”».
In soldoni si tratta della volontà esplicita di Xi Jinping di attrarre nell’orbita politica cinese le cinque religioni approvate in Cina: Buddismo, Taoismo, Islam, Protestantesimo e Cattolicesimo, «rieducandole». Il rinnovo del tanto criticato accordo, (il cui testo, per volere di Pechino, rimane prevalentemente segreto) come sottolineato dalle fonti vaticane, si delinea, tuttavia, come un’intesa solo provvisoria (della durata di due anni) e si configura come un tentativo di aprire le maglie del sistema.
Sicuramente non si tratta di un volano che rimetterà magicamente in moto la vita ecclesiale, in Cina, anzi, come ha affermato, in una sua nota p. Gianni Criveller, missionario del Pime e sinologo, «si tratta di un rinnovo provvisorio. Segno evidente che, almeno da parte vaticana […] c’è la volontà di proseguire il dialogo ma anche una certa insoddisfazione per i risultati ottenuti». Un gesto, quello della Santa Sede – come ha sottolineato Criveller – non compiuto a cuor leggero, ma «con l’acuta consapevolezza della responsabilità storica e della grande posta in gioco per la vita dei credenti, della fede e dell’evangelizzazione della Cina».
Non ne sembra affatto convinto il commissario dell’Uscirf, Schneck che, in una recente intervista a Crux ha dichiarato: «Capisco certamente da cattolico che il Vaticano stia giocando a lungo termine e non pensi alle conseguenze immediate, ma credo che questi accordi non abbiano prodotto alcun miglioramento nel campo della libertà religiosa per i cattolici in Cina e credo che la Santa Sede dovrebbe davvero ripensare alla sua decisione di proseguire in comune accordo col presidente Xi Jinpling».
Schneck, inoltre, ha convintamente aggiunto: «La mia opinione personale è che il governo di Pechino possa usare questo accordo per reprimere ulteriormente i cattolici clandestini in Cina, e se questa è la situazione, allora il Vaticano sta davvero perdendo terreno con il governo cinese». Ha chiosato ricordando gli arresti e le persecuzioni, negli ultimi anni, di esponenti cattolici di alto profilo come il cardinale Joseph Zen che, peraltro è sempre stato molto critico nei confronti dell’«accordo» (Foto: Pexels).
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