Un evento del cui rilievo è convinto mons. Antonio Suetta, vescovo di Ventimiglia – Sanremo che ha deciso di promuovere la proiezione del film “Unplanned”, prevista per venerdì 29 luglio, alle 20.45 presso il Teatro Ariston di Sanremo. Una location non da poco e soprattutto, spesso, passerella su cui sfilano i soliti clichè del politically correct, con l’immancabile schiaffo al cristianesimo. Alla visione della pellicola, il vescovo di Sanremo, con un comunicato ufficiale, ha invitato tutta la sua diocesi. Altri pastori presenzieranno all’evento: mons. Guglielmo Borghetti (vescovo di Albenga-Imperia), mons. Calogero Marino (vescovo di Savona-Noli), mons. Vittorio Lupi e mons. Alberto Maria Careggio (vescovi emeriti, rispettivamente, di Savona e Ventimiglia). La pellicola- distribuita in Italia dalla Dominus Production di Federica Picchi- che non ha avuto vita facile nelle sale cinematografiche, per il suo contenuto decisamente controcorrente, mostra cosa l’aborto realmente sia, attraverso la storia di conversione di Abby Johnson, ex direttrice di una delle cliniche di Planned Parenthood, oggi attivista pro life d’eccezione. Mons. Suetta ci spiega le ragioni del suo appoggio all’evento.
All’ indomani del ribaltamento della Roe vs Wade, da parte della Corte Suprema americana, che sanciva l’aborto come “diritto”, la proiezione di Unplanned all’Ariston ha un sapore diverso. C’è la speranza che anche in Italia si arrivi a questa consapevolezza, in termini concreti? “Sì certo. La sentenza della Corte Suprema americana ha dato provvidenzialmente nuovo impulso, nuovo vigore, al dibattito sul tema dell’aborto. Quindi l’occasione della proiezione di questo film si inserisce in questo contesto di incrementata attenzione al problema. E’ ovvio che da parte mia e di tutti i volontari che stanno contribuendo alla riuscita dell’evento, c’è il desiderio che anche l’Italia riconsideri la questione sotto il profilo legislativo”.
Quello che è avvenuto in America è frutto del costante e duro lavoro del movimento pro life americano che ha una connotazione diversa rispetto ai movimenti pro life che operano qui in Italia. Che ne pensa? “Credo che i movimenti per la vita dei diversi paesi rispecchino peculiari caratteristiche di popolo e di cultura. Il movimento pro life americano è un movimento che ha un’evidenza più marcata, uno stile più combattivo, è particolarmente articolato e molto più diffuso a livello giovanile, penso, ad esempio, alla presenza del movimento pro life nei college americani che concorre notevolmente a dare un’impronta culturale più marcata che in Italia forse fa più fatica ad emergere”.
Una pellicola proiettata in un contesto come l’Ariston, rappresenta, forse, anche una scelta controcorrente rispetto alle sceneggiate “politicamente corrette” e perfino blasfeme che hanno caratterizzato gli ultimi Festival? “La scelta dell’Ariston non vuol essere una forma di contrapposizione. Ritengo, infatti, che lo stile “da tifoseria” non sia il migliore per proporre argomenti di spessore e di grande importanza. La scelta di questo teatro è motivata dal fatto che, a Sanremo, l’Ariston, è un riferimento famoso, anche a livello nazionale. Tuttavia concordo anche con la domanda: in un ambiente dove spesso vengono prodotti spettacoli completamente proni al pensiero unico dominante, un evento come quello della proiezione di Unplanned, ha sicuramente il fine di sollecitare le coscienze e le intelligenze a meditare davvero su certi argomenti.”.
A proposito di tifoserie, riguardo il film Lei ha dichiarato E’ un modo per aiutare le persone ad entrare nella questione drammatica dell’aborto, non soltanto creando delle tifoserie, tra chi è pro e chi è contro, perché? Porta sulla pellicola, l’esperienza diretta, senza tanti discorsi? “Io sono fermamente convinto che chi ritenga illecito l’aborto debba dirlo con molto coraggio, senza alcuna reticenza. Però questo non basta: il servizio migliore che si debba rendere alla causa è sensibilizzare le coscienze sul tema offrendo, soprattutto, informazione e formazione. L’informazione è quella di carattere medico, scientifico e biologico, in modo che si possa affrontare il problema per quelli che sono i suoi reali contorni. Per quanto riguarda la formazione, invece, è necessario aiutare la gente ad avere dei criteri di coscienza e di prospettiva etica buoni che portino ad interrogarsi fino a che punto la libertà personale possa essere esercitata, laddove è in gioco la vita di un altro essere umano”.
Questa pellicola è stata spesso boicottata dalle sale cinematografiche, definita “cruenta” da certa stampa. Ma non è l’esperienza stessa dell’aborto ad essere tale? C’è un po’ di ipocrisia dietro certe accuse? “L’arma più pericolosa della propaganda abortista, più che l’ipocrisia, è la congiura del silenzio. Si è capito che persino le manifestazioni dell’aborto possono rappresentare un appoggio alla causa pro life, perché portano, comunque, inevitabilmente, a pensare. Invece, molto spesso, la guerra contro la vita è condotta impedendo alle persone di portare la verità dei fatti. Da questo punto di vista il film è una grande testimonianza di un’esperienza vissuta. Questo è il suo merito”.
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