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«È un’intervista non un documento magisteriale»
NEWS 25 Ottobre 2020    di Lorenzo Bertocchi

«È un’intervista non un documento magisteriale»

Le controverse parole del Papa che compaiono nel docufilm intitolato “Francesco”, presentato il 21 ottobre alla Festa del cinema di Roma, hanno sollevato molte interpretazioni.

Il primo aspetto da chiarire riguarda il contesto delle dichiarazioni artatamente montate dal regista russo Evgeny Afineevsky, il quale ha semplicemente fatto il suo mestiere. Nel fare questo si è servito anche di parti di un’intervista che Francesco ha concesso a una televisione messicana nel 2019. Il punto è che il passaggio in cui il Papa apre alla possibilità di riconoscere una tutela legale (ley de convivencia civil) per le coppie omosessuali, nell’intervista del 2019 non compariva perché tagliato. Chi ha deciso e perché di tagliare quelle frasi di Francesco nel 2019? E chi ha deciso, invece, di offrire al regista la versione integrale di quell’intervista? Tutta la vicenda delle frasi e del montaggio è stata ben riassunta dal vaticanista Sandro Magister qui.

Un secondo gruppo di considerazioni riguarda la discontinuità tra quello che il Papa dice in quello spezzone sulla tutela legale da riservare alle coppie omosessuali e il documento del magistero intitolato “Considerazioni circa i progetti di riconoscimento legale delle unioni tra persone omosessuali”, una nota della Dottrina della fede del 2003 firmata cardinale Joseph Ratzinger e approvata da papa Giovanni Paolo II. In questo testo del magistero ordinario pontificio si dice che «in presenza del riconoscimento legale delle unioni omosessuali, oppure dell’equiparazione legale delle medesime al matrimonio con accesso ai diritti che sono propri di quest’ultimo, è doveroso opporsi in forma chiara e incisiva». Sembra evidente che non è sufficiente non confondere l’istituto matrimoniale con le cosiddette unioni civili per sostenere tutele legali per unioni omosessuali.

In mancanza di chiarimenti da parte della Santa sede su questa presunta discontinuità, riportiamo alcune dichiarazioni di due vescovi italiani e del portavoce della conferenza episcopale del Kerala (India), rilasciate in questi giorni.

Il vescovo di Imperia-Albenga, monsignor Guglielmo Borghetti, ha sottolineato come nel caso dell’Italia le tutele legali nei confronti delle persone erano già presenti nell’ordinamento giuridico e con una legge sulle unioni civili, la cosiddetta legge Cirinnà del 2016, sia stato invece compiuto un passo di altro tipo. «I diritti esistevano già ed erano garantiti», ha dichiarato Borghetti a Imperianews, «Fossi stato un parlamentare non avrei votato quella legge, non perché abbia qualcosa contro gli omosessuali, che anzi godono di tutto il mio rispetto, ma perché rischia di introdurre un concetto che può essere frainteso, quello di equiparare le unioni civili alla famiglia, due cose nettamente distinte». In sostanza, pare di capire dal pensiero del vescovo, i diritti delle persone sono ovviamente da garantire a tutti nell’ambito dell’ordinamento giuridico, ma non c’è bisogno di riconoscere legalmente le unioni civili.

Il portavoce dei vescovi cattolici del Kerala ha detto: «La Chiesa cattolica non ha attenuato la sua posizione sulla vita familiare e l’omosessualità. La Chiesa non fa esortazioni sul matrimonio e sulla vita familiare attraverso i documentari». In altri termini, come ha sottolineato anche il vescovo di Savona, monsignor Calogero Marino, quella di Francesco «è un’intervista, non un documento magisteriale».


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