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Ungheria, quando il presidente donna non fa notizia
NEWS 12 Marzo 2022    di Redazione

Ungheria, quando il presidente donna non fa notizia

Ci sono presidenti donna di cui nessuno parla, soprattutto chi si riempie la bocca, e riempie le pagine, di parità di genere necessaria. E così in pochi hanno dato risalto alla notizia che da due giorni l’Ungheria ha un presidente donna. Sarà che l’Ungheria non gode delle simpatie dei vestali del politicamente corretto, sarà che Katalin Novak è stata ministro della famiglia del Governo del tanto detestato Orban, sarà perché non ha mai nascosto di essere contro l’aborto e a favore della famiglia naturale, fondata sull’unione uomo- donna.

Noi non possiamo che accogliere con giubilo la notizia, augurando buon lavoro al neo presidente. Proponiamo qui di seguito un estratto dell’intervista realizzata da Marco Guerra proprio con la Novak per Il Timone n. 182 a margine del Congresso delle Famiglie di Verona del 2019

L’Ungheria ha adottato politiche per la famiglia e per aumentare il tasso di natalità, quali sono i risultati?

«Vale la pena di ricordare che in Ungheria abbiamo subito un declino demografico per quasi quattro decenni e solo dal 2010 abbiamo la possibilità di fare politiche a favore della famiglia. Abbiamo ottenuto molto in termini di indicatori demografici: il tasso di fertilità delle donne è salito a quasi 1,5 dal suo punto più basso, 1,23; nel 2017 il numero di aborti è sceso di più di un terzo, rispetto a quelli che venivano eseguiti 20 anni prima, raggiungendo il numero più basso di sempre; i divorzi hanno registrato un netto calo e il numero di matrimoni è aumentato del 42%. Inoltre, la nostra politica familiare ha lasciato più soldi alle famiglie».

Perché l’Ungheria ha deciso di aiutare la famiglia?

«La domanda più importante è: perché altri paesi europei non fanno lo stesso? Il nostro continente deve affrontare una crisi demografica, il 46% dei Paesi del mondo – compresi tutti i paesi dell’UE – non riesce a riprodursi in base agli attuali tassi di natalità. Questo non è naturale e sostenibile. Dobbiamo apprezzare molto di più la vita umana e i valori familiari. Oggi, la crescita della popolazione europea è dovuta esclusivamente all’immigrazione. In Ungheria, la popolazione è diminuita a partire dal 1981. Per invertire questa tendenza, avevamo due opzioni: rafforzare le famiglie e permettere ai giovani di avere più figli e nel frattempo fare del nostro meglio per integrare i nostri cittadini rom, che rappresentano il 7% della nostra popolazione, oppure incoraggiare l’immigrazione di massa e lasciare entrare nel nostro Paese persone con notevoli differenze culturali e religiose, con costi elevati per cercare di integrarli a scapito delle spese per le necessità dei bambini e delle famiglie ungheresi. Per noi è stato chiaro fin dalla prima volta quale strada dovevamo scegliere».

Le società del Nord Europa si trovano di fronte a una solitudine dilagante: le politiche ungheresi possono essere un modello contro il nichilismo del nostro tempo? E per la rinascita dell’Europa?

«Noi preferiamo costruire su comunità forti piuttosto che su interessi individuali. Non vogliamo cambiare le altre società, ma è vero che le persone provenienti dai Paesi occidentali e settentrionali vengono spesso da noi per chiederci del modello ungherese. I governi liberali dicono che siamo contrari all’evoluzione dell’umanità, solo perché rappresentiamo valori tradizionali come l’importanza della famiglia e per esempio che il matrimonio è l’unione di un uomo e una donna. Il nichilismo moderno significa per me quando le persone si preoccupano solo della loro vita e dei loro interessi individuali, ignorando gli interessi nazionali perché vogliano far parte di un grande mondo transnazionale. Queste persone spesso pensano che non avere figli sia una scelta migliore, più facile ed economica. Ma se la maggior parte della società pensa così, non ci saranno abbastanza bambini e perderemo il nostro patrimonio cristiano».

Che cosa dice a coloro che accusano l’Ungheria di aver costruito una società chiusa?

«Il principio della società aperta del miliardario George Soros non è necessariamente positivo. Infatti, molte volte significa la negazione del patrimonio, degli interessi e dei valori nazionali e rappresenta solo un’idea sovra-nazionale senza senso. Sognano una società in cui gli individui possono superare la loro esistenza biologica e possono scegliere se vogliono essere una donna o un uomo o anche fare questa scelta per i loro figli. Chiunque pensi che ciò vada contro il buon senso è etichettato come nazionalista o estremista. Rispettiamo la scelta di ogni individuo, ma abbiamo la nostra storia, le nostre tradizioni e i nostri valori e la nostra politica si basa su ciò che il popolo ungherese ha deciso. Il governo ungherese è stato eletto per il terzo mandato consecutivo con due terzi dei voti, quindi la nostra politica è legittima, contrariamente a quanto ha da dire una ONG non eletta. I media di sinistra e liberali spesso ci criticano per avere una posizione chiara sui valori, perché oggi in Europa non è normale parlare di famiglia, nazione, valori cristiani e così via. Ma proteggeremo le decisioni sovrane del popolo ungherese. Vogliamo diventare un continente con una maggioranza di abitanti immigrati, i cosiddetti Stati Uniti d’Europa, o vogliamo risolvere la crisi, aiutare i giovani ad avere più figli e vivere in un’Unione europea basata sul rispetto, la fiducia, il nostro patrimonio culturale cristiano e la cooperazione reciproca tra le nazioni, come i padri fondatori l’hanno immaginato?»

In molti spesso richiamano alle radici comuni dell’Europa. La famiglia composta da madre, padre e figli può essere il vero motore del “Vecchio Continente”?

«Mi preoccupa che le istituzioni europee oggi siano transnazionali e tendano ad avere una posizione politica invece di rappresentare la volontà della gente. Cosa penserebbero oggi dell’Europa i nostri padri fondatori, come il primo ministro De Gasperi? Aveva una visione di un’Unione che realizzasse la cooperazione e non che si sostituisse alle nazioni. Secondo me, dobbiamo tornare alle nostre radici invece di superarle. Solo una famiglia di una madre, un padre e i loro figli può essere una buona base per la sostenibilità della nostra società e per il suo sviluppo».


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