Akli Ahlet, per Save the 1, è una giovane mamma che racconta una storia allucinante: da sempre pro vita, discuteva spesso con un’amica. Sosteneva che la vita umana è sacra, sempre e che l’aborto non era ammissibile, mai, neanche in caso di stupro. L’amica probabilmente covava odio e rancore nei suoi confronti…
«Sono Croata, anche se ora viviamo in Argentina. Ho sempre vissuto da sola con mio padre perché mia madre ha perso la vita quando avevo quattro anni e nessuno nella mia famiglia poteva prendersi cura di me. Mio padre doveva lavorare tutto il giorno, quindi dopo la scuola usavo andare a lezioni di nuoto da sola.
Ero ancora in Croazia, a quindici anni, quando a scuola conobbi una ragazza che mi odiava perché ero pro vita. Mi diceva sempre: “È perché non ti hanno violentato”. Io rispondevo che non avrei mai tolto la vita a mio figlio anche in caso di violenza, perché lui non aveva alcuna colpa…
Un giorno, mentre aspettavo l’autobus, lei e suo fratello mi fecero salire in macchina: pensavo volessero darmi un passaggio, invece lui – con l’aiuto dei lei – mi violentò. E’ stato orribile e disgustoso, ma ho superato il trauma abbastanza facilmente.
Ho detto a mio padre cosa è successo, e – ancora non capisco perché – lui si è sentito terribilmente in colpa…
Quattro mesi dopo, ho cominciato a svenire e avevo livelli molto bassi di glucosio nel sangue. Sono andata dal medico dove ho scoperto che ero incinta. Tutti dicevano che dovevo abortire, perché la gravidanza era conseguita ad uno stupro.
Il medico stesso mi ha detto che mio figlio mi sarebbe risultato odioso – per un crimine che lui non aveva commesso! Ha detto anche che anche se non avessi abortito, la sua vita sarebbe stata breve, nel mio grembo, visti i bassi livelli di zucchero che avevo nel sangue.
Ho cominciato a piangere e a dire che non capivo perché lui, un medico, era contro la vita di un bambino innocente, che non aveva fatto nulla di male.
Mio padre mi ha preso per mano e mi ha portato via senza una parola. L’unica cosa che mi ha detto, quando siamo entrati in macchina, è stata che dopo la nascita del bambino avrei dovuto cercarmi un lavoro perché col suo solo stipendio non potevamo tirare avanti in tre. Sapevo che mio padre non mi avrebbe mai chiesto di togliere la vita a mio figlio e le sue parole mi resero molto felice.
Continuai ad andare a scuola, mangiando un sacco di biscotti per tenere alto il livello di zucchero. I miei compagni di classe mi hanno sempre guardato male e ha dicevano che mio figlio avrebbe rovinato la mia vita. Non gli rispondevo. Ma già sapevo che mio figlio è veramente la mia prima ragione di vita.
È un bambino molto buono, ma ancora ci sono persone che lo guardano male quando vengono a sapere come è stato concepito. All’età di 5 anni ha detto: “Sono cattivi, mamma, e io sono bravo, ecco perché mi guardano così”.
Ancora non sa come è stato concepito. Glielo dirò quando cresce. Ma lui è la cosa migliore che mi sia capitata nella mia vita: sarei disposta a rivivere tutto quello che ho dovuto sopportare per riaverlo. E per vedere la gioia di mio padre quando guarda suo nipote e dice: “Finalmente un maschietto, per me“.
Ora sto studiando per diventare un’ insegnante e mio figlio viene a scuola con me di tanto in tanto: lì lo viziano tutti. Quando ho sperimentato cosa vuol dire essere madre, ho capito qual è la vera felicità».
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