Superare “il tabù” della “gestazione per altri”. Così invita a fare Michela Marzano dopo il primo via libera alla proposta di legge di Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia, che punta a rendere l’utero in affitto reato universale ovvero di rendere questa pratica, già illegale in Italia, reato anche quando viene praticata all’estero.
Non che di per sé sia una notizia, la filosofa è da anni in prima linea nella battaglia in difesa dei cosiddetti “diritti Lgbt”, con un occhio di riguardo proprio alla maternità surrogata che, secondo lei dovrebbe invece chiamarsi «gestazione per altri», forse perché così pare meno brutto o più polite. Comunque anche questa volta non ha mancato di farsi sentire non solo contestando la proposta di legge, ma mettendo il carico da novanta sulla posta in gioco. Non soltanto infatti l’utero in affitto a suo parere non dovrebbe essere considerato reato, ma andrebbe addirittura normato: «Se la legge la avessi scritta io – afferma – avrei proposto la gratuità, come accade quando si dona un organo. Ma avrei anche chiesto un accompagnamento medico e legale per ogni donna. E se qualcuno pensa che, a queste condizioni, non ci sarebbe nessuna donna disposta a portare avanti una gravidanza per qualcun altro, gli risponderei che sbaglia, che c’è chi dona gratuitamente un rene o un pezzo di fegato, c’è chi dona costantemente tempo e amore, c’è chi dona persino la vita senza chiedere nulla in cambio».
Riflessioni che sono state ospitate dal quotidiano torinese La Stampa, che successivamente ha anche aperto un dibattito in merito. Alla Marzano ha infatti risposto la giornalista e storica Lucetta Scaraffia con un editoriale dal titolo «Ti spiego perché l’utero in affitto non è accettabile» e successivamente c’è stata un’ulteriore replica della Marzano intitolata «La gestazione per altri è anche questione di libertà». Un confronto dunque, un dibattito, un botta e risposta di cui i giornali sono pieni da quando esistono. Solo che qui stiamo parlando della liceità di commissionare ad un’agenzia la “produzione” di un bambino in laboratorio attraverso la fecondazione artificiale, il suo “trasferimento” nell’utero di una donna che non ha alcun legame genetico col nascituro e che si presta per un compenso economico a fare questo e la successiva consegna “del prodotto finito” ai clienti committenti che ovviamente pagano. Il tutto normato da un contratto gestito da un’agenzia. Di fatto un mercimonio di bambini fatto sulla pelle delle donne diventa un amabile oggetto di dibattito da quotidiano. Una questione su cui dunque si può lecitamente avere opinioni differenti. Magari da leggere a colazione con il cornetto in mano, vegano, si intende.
Non è una cosa da poco, anzi è una vera e propria svolta, specie se pensiamo che soltanto qualche anno fa, in occasione del dibattito sulla legge sulle cosiddette unioni civili tra persone dello stesso sesso, nel 2016, la maternità surrogata era considerata l’ultima frontiera, l’orrore massimo, l’inaccettabile per chiunque, la pratica che nessuno avrebbe mai e poi mai potuto sdoganare, ma anche solo accettare. E invece eccola qui, sono passati solo sei anni, in pochi ricordano che proprio l’utero in affitto fu appositamente stralciato dalla legge per andare incontro a quei rigidoni – allora ce ne erano diversi anche a sinistra – che altrimenti non l’avrebbero votata. Ma il copione era già scritto, già si sapeva che la diga, fatto il forellino, sarebbe venuta tutta giù. E così sta accadendo: anche l’Italia sta accettando una pratica che svilisce le donne (e infatti parte del mondo femminista, ode a loro, la avversa ferocemente) e reifica i bambini.
«Vorrei tanto che l’onorevole Meloni – scrive sempre la Marzano – e tutti coloro che hanno votato questa legge, mi dicessero con chi hanno parlato, con quali donne sono entrate in contatto, con quanti bambini nati per Gpa hanno mai giocato». Ovviamente la Marzano non vuole realmente saperlo, vuole solo mettere sul piatto il solito – vincente – argomento emotivo, sentimentale, quello per cui “i bimbi sono tanto teneri” e poi “ormai ci sono, che fare?”. Eppure sappiamo bene che i bambini possono nascere anche da violenze indicibili. E che ogni vita è infinitamente preziosa e degna. Ma questo non rende accettabile, giusto, o ancor di più altruistico, l’utero in affitto.
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