Cari amici del Timone,
se capisco bene, secondo quanto emerso dalla prima parte di questo Sinodo una “situazione irregolare” (come può essere quella di due conviventi o di una coppia gay) deve essere considerata a partire dal bene che c’è in essa e non liquidata a partire dalla violazione della legge divina o morale che essa comporta.
Va inoltre applicato il principio della gradualità: per far sì che tale situazione irregolare evolva verso il bene pieno, bisogna farla avvicinare un passo alla volta a tale bene, valorizzando sempre il positivo compiuto o contenuto in essa, non mettendola di fronte a una scelta del tipo “o tutto o niente”.
La Chiesa, insomma, mi sembra che voglia dire questo alla “situazione irregolare” e ai suoi protagonisti: “Coraggio, Dio è misericordia. Dio non vi condanna ma vi ama come siete. E vi aspetta, attende paziente che vi avviciniate a lui secondo le vostre forze, secondo i vostri ritmi, senza impuntarvi su precetti, norme o requisiti da rispettare, che sono importanti ma sono sempre superati dall’amore infinito di Dio”.
Queste indicazioni parziali del Sinodo mi hanno colpito, nel mio vissuto. Sono infatti fidanzato da quattro anni con una ragazza splendida che chiamerò Virginia. Ma da due anni sul posto di lavoro ho anche allacciato una relazione con una collega che chiamerò Samantha, di cui mi sono infatuato. Ho cercato di interrompere questa storia a più riprese, ma non ci sono mai riuscito fino in fondo. Io so che la mia strada è con Virginia, di questo ho una consapevolezza intima, ma non posso negare di provare qualcosa di speciale anche per Samantha. Non è qualcosa su cui possa costruire un futuro: è qualcosa che chiamerei passione, qualcosa di istintivo, difficile da reprimere e che lega.
Sono stati due anni, come potrete capire, molto difficili per me ma le indicazioni dei padri sinodali mi hanno illuminato e dato fiducia per uscire dal cono d’ombra di una doppia vita.
L’altra sera ho deciso quindi di parlare francamente con Virginia. Le ho confessato la mia “situazione irregolare”. Le ho anche detto che, così come il Signore è buono e non giudica, ma guarda al bene (addirittura ai semi di santità) nei conviventi o nelle coppie di omosessuali e aspetta paziente che essi (con l’aiuto altrettanto misericordioso della Chiesa) facciano il loro cammino verso di lui, per gradi, senza dover affrontare scelte del tipo “o tutto o niente”, così anch’io confidavo nel suo amore.
Io mi sento orientato sinceramente verso il bene che è Virginia e che sarà un giorno, spero, il nostro matrimonio. E mi avvicinerò ad esso, ma passo dopo passo. Perché a troncare la mia storia con Samantha, di netto, dall’oggi al domani, non riesco e non posso. La farei soffrire troppo.
Il mio stupore, però, cari amici del Timone, è che Virginia non sembra aver capito per nulla l’ermeneutica del Concilio che i padri sinodali hanno proposto per l’amore umano. Con un gesto dal netto sapore pre-conciliare ha preso il posacenere che stava usando per fumare in salotto e me lo ha scagliato addosso, procurandomi un serio ematoma all’avambraccio sinistro. E lo ha fatto aggiungendo parole dal sapore pre-Concilio Vaticano I, che non oso riportare. Non paga di questo, la mattina dopo ha aspettato che Samantha uscisse di casa per venire al lavoro e, dopo averle rigato la macchina nuova con una chiave, scrivendole sul cofano una frase dal sapore pre-tridentino, meglio tomistico, turpiter facit meretrix in hoc quod est meretrix, l’ha riempita di botte.
Ho provato allora a scriverle, a citarle testualmente il passo bellissimo della relatio post disceptationem del Sinodo che recita così: “Alcuni si domandano se sia possibile che la pienezza sacramentale del matrimonio non escluda la possibilità di riconoscere elementi positivi anche nelle forme imperfette che si trovano al di fuori di tale realtà nuziale, ad essa comunque ordinate”. E le ho chiesto se non dovessimo essere considerati così anche io e Samantha, che oltretutto siamo ora una coppia ferita (Samantha con cinque punti in fronte) quindi ancora più meritevole di misericordia e di accoglienza secondo i padri sinodali.
Ma Virginia non ha capito. Sembra inchiodata nel suo passato addirittura veterotestamentario. Mi sono trovato la portiera della macchina rigata con queste parole: “Io ti amo, ma ricordati che come il Signore anch’io sono ‘un Dio geloso’ (Esodo 20,5)”.
Lettera firmata e inventata