di Corrado Ocone
Di “metodo Bergoglio” nessuno vi parlerà mai. E la notizia sarà presto archiviata e dimenticata con la complicità delle forti centrali ideologiche che hanno in mano l’informazione che conta nel nostro Paese. Eppure, non è di poco momento la nota con cui ieri l’ufficio stampa della Santa Sede, per la diretta penna del portavoce del Papa Federico Lombardi, è dovuto intervenire non a “precisare”, come scrive stamattina Repubblica, quanto scritto nell’intervista pubblicata domenica sul quotidiano di Largo Fochetti, ma a sconfessarla almeno su due punti non secondari: la presenza di pedofili fra i cardinali e la volontà di superare il celibato dei preti. Non solo. Sotto la forma di una domanda retorica, essa sì irrituale, padre Lombardi mette in discussione quello che, senza troppe perifrasi, potremmo definire un modo disonesto di fare giornalismo: «nell’articolo, scrive nella nota, queste due affermazioni vengono chiaramente attribuite al Papa, ma – curiosamente – le virgolette vengono aperte prima, ma poi non vengono chiuse. Semplicemente mancano le virgolette di chiusura…Dimenticanza o esplicito riconoscimento che si sta facendo una manipolazione per i lettori ingenui?».
Sia chiaro, le virgolette in linea di principio, soprattutto quando un colloquio non è registrato, possono essere usate anche senza che vengano riportate in modo pedissequo le parole precise. Ma ciò presuppone che si rispetti in modo rigoroso lo spirito di quanto detto. In ogni caso, quando c’è di mezzo una persona così importante, e quando i temi toccati sono tanto importanti per una comunità così vasta come quella cattolica, si imporrebbe un minimo di attenzione da parte di tutti gli attori coinvolti. A maggior ragione, essendoci stato un “incidente” precedente, come padre Lombardi opportunamente ricorda. E’ vero che probabilmente Bergoglio non voleva concedere un’intervista, ma solamente conversare e tenere buoni rapporti con Scalfari. Tuttavia, una personalità pubblica del suo livello non può peccare di ingenuità e non esigere, da un giornalista di vecchio corso, o il “silenzio stampa” o di rivedere quanto venisse in mente all’altro di pubblicare. Ma qui il discorso, concernendo i comportamenti di questo Papa e la sua volontà di piacere a tutti i costi alla lobby mediatica liberal non solo italiana, si farebbero complicati ed esulerebbero dal tema dell’articolo: la deontologia professionale o l’etica del giornalista. Tornando ad essa, va sottolineato che, adombrando l’idea della “manipolazione dei lettori ingenui”, padre Lombardi ha colto il punto. Anche se non si tratta dell’ “ingenuità” di sprovvedute masse sottoproletarie. Il fatto è che in tutti questi anni Repubblica si è rivolta ad un pubblico, che anzi ha contribuito a creare, di media borghesia intellettuale. Ad esso ha spacciato per spirito critico una mezza cultura o un pensiero unico fatto di idee preconfezionate e soprattutto non passibili di essere messe in discussione. Pena l’esclusione dal consesso o cerchio magico di chi pensa come si deve pensare. Un’idea di giornalismo non sobria ed essenziale come quella anglosassone, ma fatta di commistione con la politica e di faziosità venduta come necessario “impegno civile” e contributo ad una presunto progresso e ad una supposta modernizzazione del Paese.
Ecco, allora il doppiopesismo che da una parte porta a non vedere la disonestà di un certo modo di fare giornalismo e dall’altra fa sì che L’Espresso continui ancora a dedicare, senza aggiungere nessun nuovo elemento, la sua “storia di copertina” alla “macchina del fango” che sarebbe stata attivata da Il Giornale nei confronti di un ex direttore di Avvenire. E’ avvenuto la settimana scorsa, ma so persino di “tesi universitarie” affidate sul tema (per dire di dove si annidi oggi l’ “egemonia culturale” in Italia). Non sembri esagerata la parola “disonestà”: aprire e non chiudere le virgolette su una frase così importante sa tanto di “gioco delle tre carte”. E apre anche una via d’uscita a eventuali reazioni dell’interessato. D’altronde, un altro esempio di disonestà intellettuale lo avevo notato anche nel passo in cui Scalfari, dopo aver scritto che il Papa vuole gli incontri con lui perché trova “stimolante” lo scambio di “idee e sentimenti con un non credente”, aggiunge queste testuali parole: «Il fatto che io sia anche giornalista non lo interessa affatto, potrei essere ingegnere, maestro elementare, operaio». Non credo che un rappresentane di questi nobili mestieri e professioni abbia il potere di far ritrovare tre giorni dopo un eventuale colloquio un resoconto, seppur taroccato, dell’ incontro su uno dei maggiori organi di informazione italiani.