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Ucraina, la crisi blocca il mercato dell’utero in affitto
NEWS 24 Febbraio 2022    di Giuliano Guzzo

Ucraina, la crisi blocca il mercato dell’utero in affitto

I venti di guerra che ormai da giorni soffiano su Kiev stanno mettendo in crisi un mercato; anzi, più mercati. Infatti, oltre alla nota partita energetica, ce n’è un’altra che – pur di dimensioni ed importi più contenuti – risulta significativa, se non altro per ragioni etiche: quella dell’utero in affitto. Già, perché specie da quando, nel 2015, i paesi asiatici hanno iniziato a porre limitazioni alla maternità surrogata commerciale, l’Ucraina di questo settore è, di fatto, diventata la Mecca, anche in ragione degli stipendi che tale pratica assicura alle donne che là vivono e che in questo modo, segnala Linkiesta, riescono ottengono uno stipendio pari al triplo del salario medio ucraino.

Ebbene, se già la pandemia aveva rallentato questo discutibile mercato, ora il rischio di un conflitto sta peggiorando ulteriormente le cose. Nello specifico, ciò che sta accadendo è che in questi giorni alle agenzie di surrogacy del Paese stanno arrivando arrivate tantissime disdette da parte di quelle coppie che ancora non avevano iniziato il percorso. Fin qui, si potrebbe commentare, il male è relativo, dal momento che quello che ruota attorno all’utero in affitto costituisce pur sempre un business moralmente inaccettabile. Il punto è che c’è dell’altro.

Come infatti spiega Feministpost, si stanno verificando pure situazioni che vedono i ricchi committenti pretendere che madri incinte contrattualmente vincolate con loro ora lascino il Paese sull’orlo della guerra, separandosi dalle loro famiglie e dai loro figli. Si può quindi ben immaginare quali tensioni ciò stia generando in tanti nuclei familiari ucraini. E non è tutto. Un altro filone del «mercato della maternità» che l’alto rischio d’un conflitto sta bloccando è quello delle coppie che a Kiev e dintorni si recano per sottoporsi a cicli di fecondazione extracorporea. Ad aver sollevato il tema è in particolare la stampa britannica, che ricorda come centinaia di persone dal Regno Unito e dall’Irlanda visitino l’Ucraina ogni anno per sottoporsi a “cure per la fertilità”.

Per sensibilizzare l’opinione pubblica su questo argomento, alcuni media stanno giocando una carta a suo modo classica: quella del cosiddetto caso pietoso. Sky News si è per esempio soffermata sulla vicenda di tale Rend Platings di Cambridge la quale, già reduce da cinque aborti spontanei, pare veda ora la sua «unica speranza» (notare il tono strappalacrime, ndr.) nella nota clinica per la fertilità BioTexCom a Kiev. Per questo, nonostante la situazione pare stia per precipitare, la donna si dice intenzionata a tornare in Ucraina nel corso del prossimo mese di marzo.

Ora, vedremo quali sviluppi avrà il quadro attuale, che naturalmente tutti si augurano possa restare nei binari della diplomazia. Ciò nonostante, è difficile, nelle preoccupazioni sulla possibile battuta d’arresto del mercato ucraino dell’utero in affitto, non notare un aspetto: ad alimentare pensieri in tutti gli attori in gioco – le coppie occidentali, le agenzie che si occupano di surrogazione di maternità, le gestanti di Kiev – è una mera, banalissima questione di quattrini: nient’altro. Tutti sembrano cioè preoccupati di non riuscire ad ottenere i compensi adeguati oppure il «prodotto» per cui quei compensi hanno versato o iniziato a versare.

E il fatto che dietro tutto questo gran giro d’affari ci siano bambini, cioè esseri umani trattati come merce? A quanto pare, di questo non si sta scandalizzando nessuno. Il che fa pensare che, se un conflitto armato sarebbe indubbiamente qualcosa di gravissimo e disumano, non si può comunque negare come la disumanità, in molto di ciò che gravita attorno all’Ucraina – e la attraversa –, sia purtroppo già di casa. Con tanti saluti a quegli appelli al buon senso e alla fraternità che pure, in queste ore, i leader di mezzo mondo stanno lanciando per scongiurare una escalation di violenza tra Mosca e Kiev.


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