Il conflitto iniziato lo scorso 24 febbraio con l’invasione russa dell’Ucraina è stato già letto, in queste settimane, sotto numerose prospettive: bellica com’è ovvio, ma pure energetica, politica, negoziale ed economica. Pochi però si sono finora cimentati in una lettura demografica di questo scontro armato, il che è curioso dato che tale dimensione non è affatto secondaria, come dimostrano vari esempi storici, dalla Francia – che tra il primo ed il secondo conflitto mondiale spinse per la natalità proprio per sostituire le vittime della Grande guerra – alla Corea del sud, che vede oggi i suoi generali preoccupati dei bassissimi tassi di natalità alla stregua d’un tema di sicurezza nazionale.
E nel conflitto in corso in Europa? Quali sono le variabili demograficamente rilevanti in gioco? Anzitutto, possiamo dire che, se da un lato sia Russia sia Ucraina sono alle prese con la denatalità, dall’altro la Mosca da tempo ha implementato le politiche della natalità mentre Kiev, come ha osservato il giornalista Giulio Meotti nel numero di marzo del Timone – si trova in una situazione ben più seria. Per due distinti motivi: i pochissimi figli che nascono (1,2 per donna) e i tanti ucraini che lasciano il loro Paese, in un esodo che è iniziato ben prima del conflitto attuale.
Al punto che già nel 2018, il ministro degli Affari esteri di Kiev confermava come circa 100.000 persone (quasi gli abitanti di una città importante come Pisa) lasciassero l’Ucraina ogni mese; e la maggior parte senza più fare ritorno in patria. Tornando alla guerra, si può dunque concludere, alla luce dell’inverno demografico, che sia in Russia sia in Ucraina la popolazione dei potenziali soldati è in declino. La situazione di Kiev è però più grave non solo perché – questo è ovvio – ha un esercito molto più piccolo, ma pure perché, in proporzione, ha una quota di popolazione in età da combattimento che va riducendosi sempre di più.
Finora però, per venire ad una valutazione che intreccia demografica e guerra, Kiev è stata in grado di fronteggiare Mosca colmando il gap anagrafico, cioè fronteggiando un esercito in media più giovane, perché ha potuto contare su armamenti più letali, quelli che non da oggi bensì ormai da anni gli fornisce l’Occidente. Tutto questo, evidentemente, il Cremlino non lo aveva considerato con la dovuta attenzione. Non solo. La Russia è incorsa in un secondo errore, questo sì puramente demografico, nella lettura del contesto ucraino.
Stiamo parlando della valutazione effettuata dallo studioso Lyman Stone dell’Institute for Family Studies, il quale fa presente che, se Putin e i suoi generali hanno sottovalutato la resistenza ucraina, è probabilmente per via di un sondaggio che metteva in luce come ben il 40% della gente di Kiev e dintorni non fosse disponibile a combattere. Dove sta la sottovalutazione? Semplice: nel fatto che quel 40% esiste davvero, ma si tratta per lo più anziani e donne! Questo fattore, unitamente a quello poc’anzi citato delle armi, spiega una parte non irrilevante delle difficoltà che sta incontrando militarmente la Russia.
Certo, c’è da dire che più il conflitto sia allunga e più, per l’Ucraina, le cose si metteranno inevitabilmente male. Su questo non c’è dubbio. Ed è probabilmente questa la ragione che sta alla base dei continui appelli lanciati in queste settimane, parlando ai parlamenti dell’Occidente, dal presidente Volodymyr Zelensky, il quale non smette di chiedere la no fly zone e l’invio di altri aiuti militari. Per quanto venga dal mondo del cinema, infatti, il leader ucraino avrà di sicuro qualche consigliere che gli avrà fatto presente che non solo le forze belliche in campo ma pure quelle demografiche non pendono a favore di Kiev. Che quindi, conti alla mano, ha tutto l’interesse – forse più di Mosca, che pure sta registrando perdite che non aveva neppure ai tempi della fallimentare invasione dall’Afghanistan – a fermare questa guerra.
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