Sarà la Corte europea dei diritti umani a pronunciarsi sulla conformità della morte della signora Godelieva De Troyer, soppressa in Belgio con l’eutanasia all’età di 65 anni, e quanto solennemente previsto dalla Convenzione europea sui diritti umani. Una notizia significativa perché riaccende i riflettori su una vicenda drammatica e al tempo stesso, viene da dire, paradigmatica di quali siano le conseguenze sociali dell’introduzione della «dolce morte» che, divenuta legale e disponibile nel settembre del 2002, in Belgio (come altrove) ha registrato una crescita esponenziale, passando dai 349 casi del 2004 ai 2.309 nel 2017, col risultato che oggi vengono uccise sette persone al giorno.
Il caso della De Troyer è però molto particolare. Anzitutto per il passato della protagonista. Si trattava infatti di una donna che aveva sofferto per lunghi anni di depressione, reduce da un divorzio e con l’ex marito morto suicida, in aggiunta ad altri passaggi dolorosi vissuti nella sua infanzia. La sua non era, insomma, una vita felice. Affatto. Eppure, quando la donna maturò il desiderio di morire, lo psichiatra che l’aveva in cura da più di 20 anni – e che quindi la conosceva benissimo – si rifiutò di assecondare la sua richiesta. Così la De Troyer dovette rivolgersi al dottor Wim Distelmans, un oncologo specializzato in tumori che, assistito da un altro psichiatra, riconobbe la donna come «depressa non trattabile» e, il 19 aprile 2012, le somministrò l’iniezione letale.
Tutto questo, si badi, all’insaputa dei familiari. Per questo motivo Tom Mortier, professore di chimica ma soprattutto figlio della signora, ha ingaggiato una battaglia legale. Non solo per non essere stato minimamente coinvolto in un procedimento in cui, sostiene, le condizioni mentali della madre non le consentivano di assumere qualsivoglia decisione di peso, tanto meno quella di farsi praticare la «dolce morte», ma perché ella risultava priva dei requisiti per poter accedere all’eutanasia. Soprattutto, fa presente Mortier, sulle cui ragioni ora dovrà pronunciarsi la Corte europea, né il dottor Distelmans né lo psichiatra che ha visitato la De Troyer (guarda caso, un amico di Distelmans) avevano mai avuto la donna come paziente; dunque, non potevano conoscerla.
Non solo. All’inizio neppure Distelmans pare volesse praticare l’eutanasia e solo dopo che la signora decise di staccare un generoso assegno a Life End Information Forum, un’organizzazione da lui co-fondata, egli vinse ogni titubanza. Una storia nella storia, per così dire, che la dice lunga sull’abbruttimento della professione medica ad opera di chi perde di vista l’etica. Ora, rispetto a tutto ciò Tom Mortier a convincere la Corte europea dei diritti umani che la morte della madre è stato un omicidio in piena regola, attuato per giunta ai danni di una donna dalle dubbie capacità di intendere e di volere? Staremo a vedere.
Nel frattempo, in una fase in cui anche in Italia le pressioni politiche pro eutanasia tornano a farsi sentire, una vicenda come quella Godelieva De Troyer merita di diventare oggetto di riflessione. Per capire quali siano le effettive conseguenze della «dolce morte», che di dolce hanno davvero poco, e che smascherano la propaganda di quanti vogliono far credere che, dove riconosciuto, il diritto di morire viene sempre limitato a casi disperati, dove ci sono malati incurabili e famiglie stremate dal dolore. Lo si vada a raccontare al professor Mortier, che non ha avuto neppure il tempo di salutare per sempre sua madre, e che ora si batte affinché venga l’eutanasia applicatale venga riconosciuta per ciò che di fatto fu. Un crimine.
Potrebbe interessarti anche