L’autore, personalità islamica di 28 anni, è originario dell’Algeria. Studia linguistica in Francia ed è molto impegnato nel dibattito sull’islam contemporaneo.
Da qualche tempo, dopo i numerosi fatti tragici di cui si è reso colpevole il terrorismo islamista, una certa élite musulmana ha finito per prendere coscienza che un pericolo reale minaccia non solo il mondo musulmano, ma l’intero pianeta. Questa élite ha compreso che la nuova modalità di concepire la religione (alla maniera wahhabita) non cessa di diffondersi. Insieme al terrorismo che si sviluppa a partire da questa pratica, finiranno per spazzare via ogni speranza di libertà e democrazia e ipotecheranno per molto tempo l’avvenire dei musulmani.
Mohamed Arkoun aveva già avvertito che il pensiero musulmano non si era evoluto da almeno sei secoli e questo ritardo costituiva un pericolo. Egli aveva insistito anche sulla rilettura del Corano per renderlo dinamico, ma purtroppo non è stato ascoltato.
Dopo gli ultimi massacri perpetrati da Daesh [lo Stato islamico] un certo numero di pensatori e di imam hanno manifestato in pubblico domandando la riforma della teologia per adeguare l’islam alla nostra epoca. Purtroppo, non esiste alcuna autorità religiosa competente che possa ascoltare questo appello. Anzi, le autorità wahhabite non tollereranno mai una qualunque riforma.
Questa situazione fa emergere due legittime domande: C’è bisogno di un clero – come per i nostri amici cristiani – per regolare questo genere di problemi? La risposta è sì. Questo clero è possibile immaginarlo e trovarlo? La risposta è no. A mio parere, il problema dei musulmani si riassume in queste due domande e risposte.
Purtroppo, il problema non è soltanto religioso. La costituzione di tutti gli Stati arabi affermano nel loro primo articolo che l’islam è religione di Stato. Tale articolo è l’inizio del problema perché esso non solo ufficializza una religione a scapito delle altre, ma impone anche una visione arcaica del mondo, basata su una giurisprudenza fra le più obsolete.
Attraverso tale giurisprudenza, i religiosi musulmani hanno creato una “ignoranza sacra”; i politici l’hanno ufficializzata; le istituzioni l’hanno sacralizzata e insegnata nelle scuole e i poveri bambini devono sottomettervisi fin dai primi anni delle elementari. Per “ignoranza sacra” intendo il tabù che circonda il dogma basato in gran parte sulla giurisprudenza. Nessuno può porre la questione sulla ragione per cui si rifiuta l’altro [l’altra religione], né a proposito di un hadith [i detti di Maometto] in contraddizione flagrante con la stessa logica del Corano. È un tutto da prendere senza battere ciglio.
Perciò, la riforma non è solo una questione che interessa solo i religiosi. Essa interessa anche i politici e il popolo nel suo insieme. Ma vi è un grande paradosso: se per esempio, un politico osa parlare di riforma, i religiosi reagiscono e lanciano il segnale di allarme per denunciare che l’islam è in pericolo. Se lo fa un intellettuale, è la stessa cosa: egli viene accusato di apostasia e viene scomunicato. E se dei religiosi propongono una riforma, vengono subito denunciati, rifiutati e accusati dai loro colleghi di lavorare per l’occidente.
A mio parere, una eventuale riforma deve essere il risultato di un processo intellettuale, se non proprio di una corrente di pensiero. Purtroppo, l’intellettuale, separato dalla base [del popolo] dalla teologia in vigore, soffre di una mancanza di ascoltatori. E non solo non è ascoltato, ma è combattuto dai guardiani del tempio e talvolta perfino dai governanti. Così, perché abbia una possibilità di successo, una riforma deve essere portata avanti non da uno o più individui, per quanto elevato sia il suo rango, ma da una istituzione. Ma sono proprio le istituzioni (religiose e statali) che hanno prodotto questo islam “ufficiale” generatore di terrorismo e di rifiuto delle altre confessioni religiose.
Tutto ciò ci porta a pensare che le società musulmane sono anestetizzate da una mentalità fra le più arcaiche e da una “ignoranza sacra” che cresce con l’andare del tempo, conseguenza di una giurisprudenza secolare sprovvista di ogni logica e di ogni spirito scientifico.
Per schematizzare cito qui alcune “vittime” di questa mentalità:
1. Mohamed Arkoun, filosofo e islamologo famoso in tutto il mondo, cacciato dal suo Paese, da una conferenza sul pensiero islamico da due predicatori islamisti egiziani, El Ghazali e El Qaradawi. Entrambi sono i padrini dell’islamismo radicale e del terrorismo.
2. Muhammed Shahrour, ingegnere civile, pensatore e interprete del Corano secondo gli strumenti della linguistica moderna, rifiutato dal sistema politico siriano, vomitato dai musulmani colpiti gravemente da ignoranza sacra. I suoi libri propongono un’alternativa al pensiero islamico tradizionale, ma sono proibiti in Arabia saudita.
3. Ferhan El Maliki, specialista dell’islam dinamico, imprigionato e cacciato dal suo insegnamento universitario dalle autorità saudite per la sua audacia nel criticare il sunnismo e la setta wahhabita.
Come si vede, il problema è più grave di quanto si immagini. Esso è serio e profondo. Ogni giorno i riformisti sono di fronte a ostacoli invalicabili, dal lato politico, da quello delle autorità “clericali”, da quello del popolo.
Cosa fare davanti a questa situazione di stallo? La domanda rimane aperta.
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