Oggi a Washington si terrà la Marcia per la vita e, proprio alla vigilia dell’evento che ebbe la sua prima edizione 51 anni fa, il presidente Trump ha firmato un decreto per concedere la grazia a 23 attivisti pro life, come aveva dichiarato in campagna elettorale. Era il 22 gennaio del 1974 quando Kathy McEnte organizzò la prima marcia nella capitale USA in risposta all’approvazione della legge che liberalizzava l’aborto (o meglio per affermare la dignità della vita del concepito forzosamente subordinata all’esercizio dello pseudo-diritto “inflitto” alle madri di potervi porre fine). Come dichiara la Thomas More Society, studio legale no profit che dal 1998 si impegna a difesa della vita, della famiglia e della libertà,
«Il 23 gennaio 2025, il presidente Donald J. Trump ha concesso la grazia a 23 sostenitori pro-life che hanno dovuto affrontare procedimenti giudiziari armati intentati contro di loro dal Dipartimento di Giustizia di Biden ai sensi del Freedom of Access to Clinic Entrances (FACE) Act». La scorsa settimana, lo studio aveva presentato una petizione al presidente prossimo all’insediamento con la richiesta di condono per i 21 sostenitori pro life arrestati per violazioni al FACE Act e, si legge sul NationaCatholicRegister, «e lo statuto “Conspiracy Against Rights” mentre erano impegnati pacificamente in proteste presso le strutture per l’aborto. Molti dei condannati e incarcerati erano anziani e in cattiva salute». Tra loro ci sono persone anziane, pastori, un sopravvissuto all’Olocausto, un sacerdote cattolico, spiega il testo della petizione.
Sotto l’amministrazione Biden il Dipartimento di giustizia federale aveva incriminato più di 30 persone che avevano partecipato a manifestazioni in difesa della vita perché avrebbero ostacolato l’accesso ai centri dove si pratica l’aborto. L’Act in questione, promulgato negli anni Novanta, avrebbe dovuto sanzionare anche tutte le attività messe in atto contro i centri in difesa della vita nascente, cosa che invece non è avvenuta, se non in minima – e sospetta – parte: «Sebbene le pene più severe previste dal FACE Act si applichino anche a coloro che ostacolano o danneggiano i centri pro-life per la gravidanza, il Dipartimento di Giustizia di Biden ha mosso accuse solo in due casi riguardanti attacchi a tali strutture, nonostante si siano verificati più di 100 incidenti durante il suo mandato. “Mentre i procuratori di Biden hanno quasi del tutto ignorato gli attacchi incendiari e gli atti vandalici contro centinaia di chiese pro-life e centri per la gravidanza, hanno perseguitato ferocemente gli americani pro-life”, aggiunge la petizione».
Una cecità selettiva, quella liberal, che viene ampiamente esercitata anche in Europa dove gli attacchi e le discriminazioni anti cristiane sono un fenomeno in crescita. Come abbiamo riferito qui, tra gli attivisti incarcerati con le pene maggiori c’è anche Bevelyn Williams, la donna, moglie e madre di una bambina in tenera età, stava scontando una pena di 3 anni e 5 mesi; mentre Lauren Handy, a sua volta graziata dal decreto firmato da Trump, aveva ricevuto addirittura 4 anni e nove mesi di reclusione per la partecipazione attiva alla protesta pro life presso una clinica per aborti con sede nella capitale.
Al momento della firma il presidente dice che non saranno più perseguitati per manifestare in difesa della vita e che quel decreto è per lui un grande onore. Nel novero dei 23 graziati anche attivisti di 90 anni a cui erano state comminate pene pluriennali sempre per aver manifestato in difesa del diritto alla vita dei concepiti. Senza fare dell’amministrazione Trump la paladina dura e pura della difesa e dignità del nascituro, non c’è dubbio che le azioni del due volte presidente messe in campo a inizio mandato siano una folata di quel vento che sembra proprio cambiato, e in direzione forte e contraria all’aria ormai piuttosto viziata dell’agenda liberal. (Foto: Imagoeconomica)
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