La morte di George Floyd, un afroamericano di 45 anni, a Minneapolis (USA) ha scioccato il mondo e ha suscitato profonda indignazione e veementi proteste. Da allora, rabbia, manifestazioni e rivolte si sono diffuse in tutti gli Stati Uniti, attirando l’attenzione internazionale. Abiola Félix Iroko, professore del Dipartimento di Storia e Archeologia dell’Università di Abomey-Calavi (Benin) ha rilasciato un’intervista cercando di riequilibrare le posizioni in base alla realtà storica.
«[…] Quando parliamo della tratta degli schiavi, la gente incolpa solo i bianchi. Ma [i bianchi] sono venuti [in Africa] come acquirenti e noi [africani] eravamo venditori. La maggior parte degli schiavi fu acquistata a tempo debito a Ouidah (ex porto degli schiavi del Benin). È lo “yovogan”, il rappresentante del re, che veniva il giorno prima per chiedere ai cittadini di venire a vendere ciò che avevano [gli schiavi]. (Fonte)
Gli stessi re vendevano schiavi. Il re Adandozan (nono re di Abomey tra il 1797 e il 1818. Il suo nome, il suo regno e i suoi simboli sono stati cancellati dalla tradizione storica di Abomey) vendette la madre del fratello consanguineo (Principe Gakpe).
Gli africani ne hanno quindi approfittato. Non esistono acquirenti senza venditori, noi [africani] eravamo venditori. Quando fu abolita la tratta degli schiavi, gli africani erano contrari all’abolizione. All’epoca il re Kosoko di Lagos (Nigeria) era contrario all’abolizione. Un re di Dahomey, di cui non cito il nome, era anche lui contrario all’abolizione. La tratta degli schiavi che è durata 4 secoli è uno sfortunato fenomeno di lunga durata che deve essere classificato tra i crimini contro l’umanità di cui anche gli africani sono parzialmente responsabili. È una questione di corresponsabilità. Non è solo il compratore che deve essere condannato, anche il venditore deve essere condannato, perché il venditore ha legami di affinità e parentela con colui che viene venduto.
Inoltre, coloro che hanno represso la tratta degli schiavi non lo hanno fatto perché amavano i neri. È perché hanno notato in un dato momento che con lo sviluppo del capitalismo e soprattutto dei macchinari, non avevano più bisogno di tanta manodopera. Quello che potevano fare gli schiavi in 5 giorni, le macchine potevano farlo in uno. Non era per filantropia come molti pensano. […]»
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