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17.12.2024

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Tra black-out e accuse, Zuckerberg traballa. Ed emerge una strada: il ritorno al reale
news
8 Ottobre 2021

Tra black-out e accuse, Zuckerberg traballa. Ed emerge una strada: il ritorno al reale

Per Mark Zuckerberg (foto a lato) e i suoi stretti collaboratori non è stato un inizio di ottobre da incorniciare… anzi.

Da un lato c’è stato infatti il down totale di WhatsApp, Facebook, Messenger e Instagram di lunedì 4 ottobre, che ha visto questi colossi della galassia social offline per quasi 7 ore. Un evento più unico che raro, che ha spinto dapprima il team di Zuckerberg a pubblicare un Tweet di scuse «all’enorme comunità di persone e aziende in tutto il mondo che dipendono da noi: ci dispiace» e quindi lo stesso Ceo statunitense a intervenire attraverso il suo profilo social a emergenza rientrata: «Mi dispiace per l’interruzione di oggi», ha scritto, «so quanto vi affidate ai nostri servizi per rimanere in contatto con le persone a cui tenete».

Inutile sottolineare che questo black-out, oltre ad aver causato disagi negli utenti, è stata anche una vera débâcle dal punto di vista economico, con una cifra stimata di 100 milioni di dollari di perdite per le sei ore di interruzione cui vanno sommate quelle determinate dalla battuta d’arresto delle azioni delle società, e dal punto di vista commerciale, con le iscrizioni ad altri social, Telegram su tutti, che hanno registrato un incremento vertiginoso.

Ma non c’è solo questo, nell’ottobre nero di Zuckerberg: a mettere ulteriore carne al fuoco ci sono state infatti anche le pesantissime accuse che l’ex dipendente di Facebook, in un ruolo non esattamente secondario com’è quello di product manager, Frances Haugen (foto a lato), ha deciso di rendere pubbliche, dapprima consegnandole in forma scritta ai legislatori statunitensi e al Wall Street Journal, quindi con un’intervista rilasciata a 60 minutes, ha anche deposto, martedì 5 ottobre, al Senato Usa, con la possibilità che dalle sue parole scaturisca un’inchiesta da parte della Securities and Exchange Commission.

Molto in sintesi, la Haugen ha denunciato i «danni sociali provocati da Facebook», che paragona alla dipendenza dal fumo o dalla droga. E, basandosi su dati interni, ha affermato che Facebook ha una sua influenza nell’aumento di casi di anoressia tra le ragazzine e che almeno il 6%, cifra al ribasso, dei bambini ha ammesso di essere «addicted», cioè dipendente, da Instagram.

Accanto a questo, ha proseguito nella sua denuncia la ex dipendente, ci sono problemi di privacy per gli utenti, peraltro già noti e sanzionati, e un grosso conflitto a livello di interessi, con Facebook che ha messo il proprio profitto davanti alla trasparenza e agli utenti, facendo anche pagare di più gli inserzionisti.

Naturalmente, anche in questo caso Zuckerberg è dovuto correre ai ripari, affermando di non riconoscere Facebook nelle descrizioni apparse sui media in seguito alle dichiarazioni dell’ex dipendente e di trovare le accuse di pensare solo al profitto «illogiche», così come di rigettare quella inerente la scarsa protezione rivolta ai giovani: «Ho investito molto tempo», ha dichiarato infatti, «a pensare quale tipo di esperienze voglio che i miei figli e gli altri abbiano online, ed è molto importante per me che ogni cosa che costruisco sia sicura e positiva per i ragazzi».

Certo, i social di Zuckerberg non sono gli unici a macchiarsi di tali accuse: anche Tik Tok era finito recentemente nell’occhio del mirino, anche in questo caso grazie a un’inchiesta pubblicata dal prestigioso Wall Street Journal e quindi intervenendo ed eloquentemente intitolata: «Come TikTok offre ai minori video di sesso e di droga». E l’elenco di grandi colossi social e d’intrattenimento che giocano più coi profitti, che con il vero interesse degli utenti non si ferma di certo qui.

Eppure, di fronte a tutto questo, un dato sconcerta: tutti sanno, ma tutti accettano. Chiaramente con gradi di consapevolezza differenti, di certo pressoché minima nei giovani, ma il dato rimane: tutti accettano di giocare online una parte sempre più preponderante della propria vita – e magari anche quella dei propri bambini piccoli attraverso la pubblicazione di foto che chissà come e da chi verranno utilizzate. Questa è la prassi, sia sotto il profilo personale, sia, e sempre di più, sotto quello professionale. E di fronte a un down che si protrae per ore, scatta il panico: come spendo il mio tempo in maniera differente? Come possono comunicare? Come posso continuare a mantenere i rapporti? Il professore Anthony Esolen una risposta a questi quesiti la ha già data nel suo libro, Sex and the unreal city. La demolizione del pensiero occidentale, appena sbarcato in Italia proprio grazie al Timone: tornale al reale, tornare ai rapporti in carne ossa, e tornare al vero centro dell’esistenza, che è Dio.

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