La felice penna di Natalia Sanmartin Fenollera (foto in evidenza), che con il suo romanzo d’esordio Il risveglio della signorina Prim (uscito in Italia per Mondadori nell’aprile del 2014) ha catturato milioni di lettori in tutto il mondo, con traduzioni in 11 lingue e una diffusione in oltre settanta Paesi. Il testo – che l’Autrice ama definire «una fiaba» – aveva come filo conduttore il cambio di vita della giovane Prudencia Prim, che decide di trasferirsi a Sant’Ireneo de Arnois, un quieto paesino i cui abitanti hanno dichiarato guerra al mondo moderno, e poteva essere letta sotto tre differenti angolature: come una piacevole storia di costume, come una sorta di grido d’allarme contro la modernità e tutto quello che si porta dietro oppure, ed è questa la chiave interpretativa più importante per la Fenollera ma anche la meno colta dalla critica e dal pubblico stesso, come la narrazione di una conversione religiosa.
Ebbene, alla soglia dei cinquant’anni, e oramai sette anni dopo la sua prima comparsa in libreria, la Fenollera ha dato alle stampe un nuovo romanzo: Un cuento de Navidad para Le Barroux (letteralmente: Canto di Natale per Le Barroux), illustrato da Michaela Harrison.
Contattata da Religion en Libertad, l’Autrice ha spiegato di non vivere la scrittura come una professione, legata a tempistiche precise e stringenti, bensì di amare «scrivere quando penso che ci sia qualcosa che posso dire o ci sia un motivo per farlo». Un motivo che, nello specifico del libro ora in uscita, è riconducibile al fatto che i benedettini di Le Barroux, dove ci sono due comunità benedettine che seguono la liturgia tradizionale, le «hanno chiesto una storia da leggere alla festa della Natività». Di lì, poi, la scelta di pubblicare quanto aveva scritto.
La storia è, all’apparenza, piuttosto semplice. Figura centrale è un bambino di otto anni che, con i suoi fratelli, è orfano di madre ed è stato abbandonato dal padre: il testo si snoda quindi attraverso una “ricerca di senso”: il piccolo chiede a Dio un segno rispetto alla veridicità di quello che gli raccontava sua madre della fede. Segno che, dopo tre anni di silenzio, a Natale si concretizza in modo del tutto particolare. «Volevo parlare», afferma in merito l’Autrice, «del mistero del Natale e della visione sacramentale del mondo, dell’idea che Dio parla anche attraverso le cose, della realtà materiale. E scrivere anche della perseveranza nella fede e delle sue difficoltà». Questo alla luce della considerazione, dichiara ancora la Fenollera, che «la crisi di fede ai nostri giorni sembra il nostro pane quotidiano» e che oramai viviamo in un mondo «che da tempo ha smesso di essere cristiano, immerso in una crisi che non è iniziata ieri, ma che sembra accelerare ogni giorno». La soluzione, tuttavia, per la scrittrice non è quella di ritirarsi, di isolarsi, che rimane un’opzione possibile ma che non è per tutti; allo stesso modo, a poco serve lamentarsi per le difficoltà e il martirio quotidiano cui sono sottoposti coloro che credono in Cristo.
Nell’economia complessiva del testo, ad ogni modo, due dati appaiono fondamentali: innanzitutto, il ruolo insostituibile della famiglia nella trasmissione della fede. «Né la scuola né la parrocchia né i campi estivi possono fare questo lavoro, che ha anche una bellezza profonda», afferma infatti l’Autrice. «Nella lista dei beni di una famiglia cristiana», prosegue quindi, «prima dell’università, post-laurea, college, attività prescolari, alimentazione sana, relazioni sociali, prima di tutto ciò, ci deve essere la salvezza dell’anima». In seconda istanza, il fatto che di fronte alla «progressiva diluizione della fede», sia necessario «aggrapparsi alla fede e all’antico culto della Chiesa» e «approfondire la fede cristiana con lo stesso entusiasmo con cui approfondiamo altre cose»: insomma, guardare indietro, fermarsi sull’essenziale, per poter camminare in avanti e aspirare alla vita eterna. In tutto questo accompagnati da Maria che, rivela ancora la Fenollera rispetto al testo in uscita, «è il vero cuore della storia».
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