La situazione in Terra Santa, per i fedeli cristiani, è sempre più complicata. Tanto che i rappresentanti in loco delle varie confessioni – nelle figure del patriarca greco-ortodosso Teofilo III, del Custode di Terra Santa, Francesco Patton, dell’ex vescovo luterano di Gerusalemme, Munib Younan e del Patriarca latino, cardinale Pierbattista Pizzaballa – hanno voluto accendere sulla questione i riflettori del mondo mediatico, nella speranza che la diffusa conoscenza della situazione possa avere ricadute concrete nella quotidianità di tante persone.
Nell’affrontare l’argomento è necessario innanzitutto partire da un dato numerico, che nella sua precisione è assai utile per inquadrare la questione: qualche decennio fa i cristiani di Gerusalemme rappresentavano circa l’11% della popolazione; oggi, invece, a portare avanti il vessillo della Fede in Gesù Cristo in quella che è la città santa per ben tre confessioni – cristianesimo, ebraismo e islam – è rimasto uno sparuto gruppo di appena 10.000 persone, ossia meno del 2% del totale della popolazione, delle quali – riporta Infocatolica – «la stragrande maggioranza sono arabi palestinesi, sebbene vi sia anche una piccola e consistente comunità armena». E, se è pur vero che la storia ci insegna che sono bastati i Dodici per diffondere il cristianesimo nel mondo, il dato è significativo nella sua drammaticità.
Ad ogni modo, il nodo dolente non è solamente questo: vi è anche il fatto, di certo in parte conseguente, per via del loro “scarso peso”, che i fedeli che ancora resistono a Gerusalemme vivono una quotidianità molto difficile, sotto diversi aspetti. Scrive Melanie McDonagh del Catholic Herald, che si è recata di persona in Terra Santa e ha potuto ascoltare le parole dei leader delle diverse confessioni, che le chiese di Gerusalemme «affrontano particolari difficoltà a causa delle attività di un certo numero di gruppi di coloni ebrei radicali (spesso finanziati dagli Stati Uniti) i cui obiettivi sono in contrasto con la cultura tripartita di ebrei, musulmani e cristiani che ha dato a Gerusalemme un aspetto unico carattere di città santa per tre confessioni».
In particolare, registra la giornalista irlandese ma operante principalmente in Inghilterra, un problema importante è l’abuso, sia verbale sia fisico, nei confronti dei rappresentanti del clero, che alimentano un clima di ostilità.
Accanto a questo, vi è il problema inerente «la proposta di istituire un’estensione del Parco Nazionale attorno al Monte degli Ulivi, un’area strettamente legata alla vita di Cristo: sarebbero interessati 20 siti cristiani».
La questione, a prima vista, potrebbe non sembrare così preoccupante, tuttavia nella sua realizzazione pratica comporterebbe che l’area diventerebbe pericolosa per i palestinesi, in quanto «il parco rientrerebbe sotto l’autorità della Israel Nature and Parks Authority e non delle autorità municipali» e, conseguentemente, «le chiese e i residenti palestinesi perderebbero il controllo delle loro proprietà». Il già citato Francesco Patton, in merito alla questione, ha scritto quanto segue alle autorità governative, richiamando l’attenzione sul nocciolo della questione: «Questi luoghi sono sacri. […] E per questo, per noi, è importante che i luoghi santi possano essere e continuare ad essere luoghi di preghiera, luoghi di culto, e non semplicemente luoghi aperti al pubblico».
Un altro punto di difficoltà per i cristiani a Gerusalemme è quindi quello che «anche le autorità municipali di Gerusalemme ignorano la sensibilità delle chiese»: permettono l’organizzazione di feste in aree appartenenti alle chiese, transennano intere parti della Città Vecchia, danno luogo a iniziative culturali senza confrontarsi con le autorità religiose sul posto… il tutto creando diversi disagi per quanti vivono, o vorrebbero vivere, la città precipuamente nella dimensione di fede.
Un’altra questione spinosa, e non del tutto trasparente, è poi quella dell’acquisto di immobili strategici nella Città Vecchia da parte dei militanti di Ateret Cohanim: un disegno che va avanti da anni, che vede anche un ruolo da parte degli Stati Uniti, e che secondo Daniel Seidemann, avvocato israeliano specializzato in questioni geopolitiche, «si inserisce nella trama di una politica generale, che è quella di circondare e penetrare la Città Vecchia con insediamenti e attività legate ai coloni. E questa non è solo una minaccia per gli hotel, ma una minaccia per il carattere di Gerusalemme e, più specificamente, una minaccia per la vitalità della presenza cristiana a Gerusalemme, ed è così che le Chiese la percepiscono».
Ad ogni modo, pur dentro questo quadro complicato e del quale è bene parlare, e pur nella consapevolezza che – come nota il cardinale Pizzaballa (nella foto in evidenza) – «purtroppo a Gerusalemme tutto è politico», la chiosa dei leader religiosi è di speranza, nelle parole di Teofilo III: «Siamo qui da quasi 2000 anni. Le cose sacre e profane sono andate e venute, e la Chiesa è ancora qui. Questo, almeno, è qualcosa a cui aggrapparsi».
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