Dimenticate i classici libri sulla preghiera. Un teologo ed esorcista bresciano, noto ricercatore in ambito antropologico e fenomenologico, ha appena dato alle stampe un’opera unica nel suo genere, che ha per oggetto la particolare “esperienza interiore” che vive colui che si raccoglie in preghiera. L’autore si chiama don Roberto Tavelli, e il suo libro, che il Timone ha potuto leggere in anteprima e che è in uscita per le Edizioni Messaggero di Padova, ha per titolo Viaggio nel cielo dell’anima con Teresa d’Avila.
Il riferimento all’esperienza di preghiera di Teresa D’Avila – prima donna Dottore della Chiesa – deriva dal fatto che nei suoi scritti la mistica spagnola descrive come nessun’altro la propria “esperienza interiore”, arrivando a svelare le «operazioni» e «dinamiche» dell’anima umana implicate nel raccoglimento orante, le basilari «disposizioni» indispensabili per raggiungere tale stato, nonché i «contenuti rappresentativi» che compongono il “primo linguaggio” dell’anima dell’orante. Da qui il sottotitolo di un libro certamente destinato a creare un dibattito in ambito teologico: L’immaginazione che orienta alla preghiera. Don Roberto Tavelli, dunque, ripercorrendo l’esperienza mistica di Teresa d’Avila con metodo rigorosamente fenomenologico – cioè descrivendo il vissuto interiore (o coscienziale) della santa spagnola – offre le prove incontestabili all’interrogativo che lo stesso autore mette in quarta di copertina sotto forma di versi musicali. Precisamente quelli di Eterno Padre, brano del compianto cantautore Giampietro Artegiani, noto ai più per Perdere l’amore.
«Ma è possibile che, se ti parlo da qui,
da questo piccolo pianeta,
tra miliardi di pianeti,
da questa piccola città, tra milioni di città,
da questo povero quartiere di una zona popolare,
ma è possibile che da lassù ascolti me che parlo da quaggiù?
È possibile che se io ti parlo da qui Tu mi senti?».
Alla domanda, che è poi l’interrogativo di chiunque da sempre cerca Dio nella preghiera, Teresa D’Avila risponde che sì, è assolutamente possibile: la creatura umana può veramente relazionarsi col Creatore. A ribadirlo è Cristiana Freni – docente di Filosofia del Linguaggio presso l’Università Pontificia Salesiana e di Antropologia Filosofica ed Empirica presso l’Accademia Alfonsiana di Roma –, che nella prefazione definisce l’opera «un libro vero perché, attraverso il magistero della nostra Santa, ci offre una guida o mappa […] per raggiungere quella profonda e integrale verità di noi stessi, che solitamente […] ignoriamo». Questa “profonda verità” è spiegata dallo stesso Roberto Tavelli, quando scrive che mettersi in ascolto dell’esperienza mistica di Teresa è «intraprendere un viaggio interiore dal quale è possibile individuare il percorso che l’anima (psiche o mente) compie nel giungere all’orazione», entrando quindi «in un’autentica relazione inter-personale nella quale la sua stessa anima può intrattenersi con Dio e intessere con Lui una reale e individuale conversazione».
Viaggio nel cielo dell’anima con Teresa d’Avila è dunque un libro che si presenta come una vera “psicologia del profondo” dell’uomo che prega, nel quale vengono illustrate le “dinamiche” e le “operazioni” implicate nel raggiungimento dello stato contemplativo. Tutto ciò, però, senza scivolare mai nel riduzionismo psicologico; piuttosto svelando, attraverso le parole e il vissuto di Teresa, il mistero della comunicabilità tra Spirito e anima. Nel tentativo di indicare al meglio queste vere profondità dell’anima, santa Teresa d’Avila ricorre a diverse espressioni: «centro dell’anima» (centro del alma), «parte superiore dell’anima» (lo superior del alma), oppure «ultima» o «settima dimora» (postrera o séptima morada) dell’«anima-castello», o più semplicemente «il piccolo cielo della nostra anima» (el cielo pequeño de nuestra alma).
Dio, scrive Teresa D’Avila, «come ha una dimora in cielo, così deve avere nell’anima un luogo di soggiorno dove abita solo lui, per così dire un altro cielo». È in questo senso – scrive Tavelli – che l’uomo «non è mai solo, né, tantomeno, abbandonato a se stesso»: nell’«“interiorità” o “centro” della sua anima Dio abita, benché, per rispettare la volontà dell’uomo, vi dimori in solitudine». Almeno finché, chiosa l’autore, l’anima non concede attivamente a Dio «attraverso la propria “volontà”, “facoltà regina” dell’anima, di entrare in quest’ultima per farle compagnia».
Davvero tante sono le intuizioni di un’opera “di frontiera” che al fine di spiegare (anche graficamente!) “il moto spirituale” dell’anima descritto da Teresa D’Avila nel Castello interiore e nel Libro della mia vita, risulta perfino corredata da tavole e schemi. Ma se le novità teologiche di quest’opera “di frontiera” sono troppe per essere qui anche solo accennate, almeno un punto però è impossibile da tacere. A testimonianza dell’estrema concretezza e “oggettività” di quanto scrive santa Teresa sull’anima e sulla mente umana, a don Roberto Tavelli è stato possibile svelare – attraverso un metodo inverso rispetto a quello teresiano e che sarà oggetto di una prossima sua pubblicazione – «il “processo operativo mentale” sotteso alle ritualità magico-occulte e divinatorie, abilmente celato da qualsiasi tradizione esoterica». Anche in quel caso, scrive l’autore, «si tratta di un “viaggio interiore”, percorso tuttavia dall’iniziato […] al solo fine di poter “evocare” […] “spiriti intrusi” nella propria anima».
Tutto questo (e molto altro) a dimostrazione che sul “messaggio” della grande mistica del XVI secolo, riformatrice del Carmelo, canonizzata nel 1622 da Gregorio XV e proclamata Dottore della Chiesa da Paolo VI, c’è ancora molto da indagare (e da imparare).
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