La fine di un anno viene celebrata dalla maggior parte della popolazione con feste, rumore, una ritualità laica ben sperimentata che pare volta a lasciarsi velocemente alle spalle i mesi appena trascorsi. Perché? Beh, molto probabilmente perché non sono stati graditi e si vuole esorcizzarne il ricordo.
Il problema è che sta per iniziare un altro anno che, già lo sappiamo, fra dodici mesi sarà salutato come l’attuale. Proprio come è stato fatto per gli anni scorsi. Siamo di fronte all’assurdo? In gran parte sì. Ripetiamo un rito, a cadenza annuale, senza sapere bene come vivere l’anno nuovo ma sapendo già che vorremo scordarcelo il prossimo 31 dicembre. Ma qui c’è anche il mistero del tempo con cui fare i conti: Sant’Agostino diceva che se non gli si chiedeva di spiegarlo sapeva che cos’era, ma si sarebbe trovato in difficoltà a fornirne una definizione.
L’uomo vive nel tempo, è indubbio. È “fatto” di scorrere di ore e di anni. Ma, insieme, in lui c’è molto di più, c’è una realtà che eccede il tempo ,ed è l’Eterno che lo avvolge e che “buca” il tempo medesimo, e gli consente così di fare le sue riflessioni, liete o amare, su di un anno che si chiude o che si apre.
Ad aver riflettuto sul tempo, proprio dal punto di vista dell’eternità, è San Paolo come ci è presentato dalla Liturgia odierna. Dice: «Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio… ». «La pienezza del tempo» dunque. Gesù è nato nella nostra dimensione quando lo scorrere dei giorni aveva raggiunto la «pienezza». Vediamola questa pienezza. Sul trono di Roma sedeva Augusto, la cui ascesa al potere era una strada lastricata di cadaveri. In Israele, dominato dai Romani, c’era al potere re Erode, un altro personaggio che pochi di noi vorrebbero come vicino di casa. La schiavitù era il sistema sociale largamente praticato ovunque; e se diamo uno sguardo al di là dell’oceano , osserviamo gli imperi mesoamericani fondati sui sacrifici umani. E potremmo continuare… Insomma, questa “pienezza” del tempo di cui parla San Paolo ci appare davvero strana, una pienezza di orrori e sofferenze ci viene da dire. Eppure è in questo tempo, così vissuto, così abitato, che il Figlio di Dio è voluto comparire come uomo.
Perché la pienezza del tempo è Lui. Lo scorrere del tempo, visto dalla parte dell’orologio, dei semplici accadimenti umani, anche oggi ci fornisce elementi sufficienti per far di tutto per dimenticarci di quest’anno che si conclude. Ci verrebbe da dire che fanno bene quanti si ubriacano in questa occasione, almeno per qualche ora scacciano la malinconia. Ma se sbirciamo il tempo dallo stesso punto di vista di San Paolo allora vediamo un’altra cosa. Vediamo che anche in quest’anno Dio ha camminato con noi, ha preso posto accanto ad ognuno di noi, ha riempito di eterno i granelli di fuggevole sabbia della clessidra che scandisce le ore quaggiù.
Questo è il motivo per cui, in questa sera, i cattolici cantano il Te Deum nelle chiese: noi non vogliamo un grande reset dell’anno solare trascorso, noi vogliamo dire grazie a Dio perché anche quest’anno non abbiamo perso la fede, chissà, forse, qualcuno proprio nel 2021 l’ha ritrovata, anche in quest’anno ci sono stati gesti di amore, di compassione, di pazienza. Anche quest’anno c’è stata la Croce e quindi la salvezza.
Non vogliamo dimenticare, vogliamo ricordare. Ricordare quanto il Signore ha operato per noi. Il cristiano è uomo di memoria non di amnesie indotte. Certo, per poter ringraziare non dobbiamo fermarci alle notizie che ci hanno tempestato durante questi mesi; occorre sapersi fermare, riflettere, entrare nella nostra stanza interiore per ascoltare la voce che ci rammenta quanto il Cielo ha fatto anche quest’anno.
Può essere anche l’occasione per chiedere perdono a Dio del bene non fatto, di tutte le occasioni perse di corrispondere al Suo amore. Il Te Deum si conclude con le parole: “Tu sei la nostra speranza, non saremo confusi in eterno”. Qualunque cosa possa accadere lungo un anno, noi sappiamo già per il futuro che Dio ci prenderà per mano come ha fatto finora, che non può essere deluso chi mette la propria vita nelle Sue mani. Che ogni anno abbiamo motivi sufficienti per cantare Te Deum laudamus!
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