Ci sono storie orribili che rischiano di diventare saghe; per chi ama il genere, ogni nuovo capitolo è una sorpresa. Una storia già nota, e di cui la nostra rivista nel numero di aprile (qui per abbonarsi) si è già ampiamente occupata (anche intervistando in esclusiva Hannah Barnes, la giornalista della Bbc che ha scritto il libro sul caso che ha travolto proprio il Tavistock’s Gender Service di Londra), quella dei processi di transizione di genere ai quali si avviavano ragazzini anche senza il consenso dei genitori, necessita ora di un tremendo aggiornamento.
In questi giorni sono emerse infatti inedite informazioni che arricchiscono di nuovi protagonisti- vittime la vicenda. Leggiamo infatti su Spiked, che si rifa al Telegraph: «Questa settimana, è emerso che 382 bambini di età pari o inferiore a sei anni sono stati indirizzati all’ormai defunto Gender Identity Development Service (GIDS) presso la clinica Tavistock di Londra negli ultimi dieci anni. Ancora più scioccante: oltre 70 di quei bambini avevano solo tre o quattro anni».
Prima ancora che uscissero tali aggravanti, il caso si era già dimostrato sufficientemente scandaloso se persino testate in genere a favore del vento Lgbt annunciavano nel 2022 la chiusura della clinica degli orrori (in realtà del centro dedicato alla transizione di genere, Ndr): per il pezzo di Repubblica era, almeno, controversa: «Quella che permetteva il cambio di genere ed eventualmente di sesso a minorenni, anche senza il consenso dei genitori o dei giudici, ma solo dei medici e dei diretti interessati. Dopo tante polemiche, un’inchiesta indipendente – prosegue il sommario – ha stabilito che i teenager che si rivolgevano alla clinica di Tavistock sono “a rischio considerevole di problemi mentali” e che “la struttura non è una soluzione sicura a lungo termine”».
Una scelta lessicale piuttosto soft, quella di Repubblica, se consideriamo che le fasi del famoso processo di transizione a cui questi bambini potevano essere avviati, dopo l’approccio iniziale più consulenziale, prevedeva la somministrazione di bloccanti della pubertà, la rimozione di organi perfettamente sani e un bombardamento ormonale necessario a spingere il corpo di questi giovanissimi verso i caratteri tipici del genere opposto. Alla luce di questo si può ben comprendere come gli esiti sulla salute mentale di queste persone possano essere devastanti. Ci si può permettere di considerare in pericolo anche la salute mentale di chi ha concepito questi percorsi e ha volontariamente indirizzato bambini anche piccolissimi lungo un tragico e prevedibile calvario.
È il magico potere dell’ordine disancorato dalla realtà e imposto dall’ideologia. È l’ideologia di genere che, inflitratasi in tutti i settori della società e del pensiero, ha permesso a dei professionisti della medicina, a dei genitori confusi, a degli operatori della salute mentale di considerare dei bimbi di 3 anni capaci di manifestare dubbi sulla propria identità sessuale e di decidere se sottoporsi a procedure complesse e dolorose ma in grado, finalmente, di liberarli da quel “corpo sbagliato” nel quale si trovano intrappolati. Naturalmente, i bambini di tre anni non hanno un vero concetto di termini come il sesso biologico o l’identità di genere. Né sono in grado di comunicare le confusioni sulla loro “identità di genere” a coloro che li circondano.
Molto probabilmente, questi bambini hanno semplicemente mostrato un interesse per i giocattoli o l’abbigliamento che sono più comunemente associati al sesso opposto. E questo li ha portati a essere portati al Tavistock. E non può che essere ideologica la premessa secondo cui un bimbo tanto piccolo sarebbe capace di decidere o almeno di manifestare in modo compiuto e immutabile un disagio con la propria identità sessuale da risolversi unicamente attraverso un invasivo iter di transizione. Un percorso dal quale sempre più pazienti desiderano tornare indietro, ma che spesso li ha condotti a mutilazioni irreparabili, infertilità irreversibile e ferite assai più profonde e invalidanti di quelle che forse giustificavano le piccole oscillazioni rispetto a gusti, preferenze, atteggiamenti considerati, quelli sì in modo decisamente stereotipato, appartenenti rigidamente a un genere o all’altro.
Anche la semplice idea che possano esistere i cosiddetti baby-trans fa a pugni, perdendo al knock out sul piano della verità, ma non ancora abbastanza su quello dei fatti, con la dimensione evolutiva, lenta e complessa che sappiamo interessare lo sviluppo di ogni essere umano. Si tratta di vero e proprio abuso perché adulti che dovrebbero tutelare e promuovere la salute integrale dei bambini permettono e promuovono pratiche lesive e irreparabili della loro dignità. Il movimento dei pentiti della transizione lo dimostra sempre più chiaramente e con un carico di dolore che le generazioni prossime, credo, non mancheranno di rinfacciarci.
Un bambino non è un adulto sotto mentite e ridotte spoglie, non è una mente pensante portata in giro da un veicolo che semplicemente cambierà di dimensioni e che può pretendere a suo danno un cambio di carrozzeria. Peccato che la contemporaneità giochi ancora così pericolosamente contro l’unità indivisibile della persona umana, soprattutto a danno degli innocenti, come i Santi Martiri innocenti di cui oggi ricorre la memoria liturgica; (e peccato che non conosca ancora a fondo la potenza dell’Incarnazione di Dio che di questa unità meravigliosa ha fatto la propria dimora) (Fonte foto: Pexels.com – screenshot, BBC News, YouTube).
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