A luglio Bob Dylan tornerà in Italia per cinque concerti (due a Milano, uno al Lucca Summer Festival, poi a Perugia per l’Umbria Jazz e infine a Roma), appuntamenti preziosissimi per i suo i tanti fan ma scanditi da un patto non negoziabile: sarà vietato l’uso dei telefonini. Non solo non si potranno fare foto né riprese video, ma gli eventi saranno «phone free», ovvero sarà necessario riporre gli smartphone in una custodia chiusa e assistita da personale dedicato.
Una condizione obbligatoria che il premio Nobel spiega con un comunicato elegante e convincente: «Avendo sperimentato questa modalità senza telefono durante i tour recenti, crediamo che essa crei un’esperienza migliore per tutti i presenti. I nostri occhi si aprono un po’ di più e i nostri sensi sono leggermente più acuti quando perdiamo la stampella tecnologica a cui ci siamo abituati». Una consapevolezza che oggi si fa compassata e sapienziale, ma che è maturata attraverso momenti decisamente più tonici. Come quando, in un concerto a Vienna, indispettito dai flash e dal mare di telefonini alzati, interruppe di colpo Blowin’ in the wind, bloccò con sguardo severo i suoi musicisti e interpellò la platea così: «Possiamo cantare o dobbiamo metterci in posa?».
SE DYLAN “FA SCUOLA” SOLO FUORI DALLA SCUOLA
Ma se Dylan reclama più rispetto per la sua musica, cosa dire delle scuole, luoghi in cui il deficit di autorevolezza è da tempo autoevidente? Ebbene, nei sacri luoghi di formazione, dove ben più che in uno stadio il rispetto e l’educazione dovrebbero regnare sovrani, il divieto degli smartphone in classe è considerato dalla maggior parte dei presidi assolutamente impraticabile. E che gli insegnanti si arrangino. E ciò malgrado la circolare emanata dal Ministro dell’Istruzione Valditara lo scorso 20 dicembre, la quale altro non faceva che ribadire quanto scriveva nel 2007 l’allora ministro del Pd Giuseppe Fioroni: niente telefonini in aula. Le parole di Valditara, cadute nel vuoto, appaiono quasi banali nella loro inconfutabilità: «Distrarsi con i cellulari non permette di seguire le lezioni in modo proficuo ed è inoltre una mancanza di rispetto verso la figura del docente, a cui è prioritario restituire autorevolezza».
Tranne lodevoli eccezioni, pochi dirigenti scolastici hanno preso sul serio l’input del ministro. Per pavidità, certo, ma anche per un problema di fondo. Con la sua circolare, infatti, l’allora neo eletto Valditara – probabilmente per non dare l’impressione di pronunciare diktat (il “pericolo fascismo” in Italia è sempre dietro l’angolo, specie in ambiente scolastico) – non ha introdotto sanzioni disciplinari per chi disobbedisce. Richiamando tutti ad un generico «senso di responsabilità» e invitando le scuole a scrivere regolamenti in autonomia – cosa che nella maggior parte dei casi non è avvenuta – il non prevedere sanzioni si è rivelato un grosso errore. Una mancanza di coraggio che i ragazzi pagano a caro prezzo.
Eppure, se i fan italiani di Bob Dylan vorranno ascoltare Like a Rolling Stone e altre perle, sapranno che qualcuno che non conoscono, a luglio, all’ingresso del Teatro degli Arcimboldi come nell’Arena Santa Giuliana di Perugia, sigillerà il loro sacro smartphone. Ma lo accetteranno di buon grado, sapendo che ciò avverrà per «godersi lo spettacolo a pieno, senza distrazioni di sorta». Insomma, il menestrello 81enne non fa sconti eppure “fa scuola” (ma purtroppo solo fuori dalla scuola).
Ma c’è di più. L’elemento sconcertante e non a molti noto che aggrava l’atteggiamento pilatesco dei presidi italiani, è quello relativo a ciò che è stato allegato alla circolare arrivata ai dirigenti scolastici di ogni ordine e grado. E cioè un’accurata relazione effettuata dalla VII Commissione permanente del Senato in cui vengono evidenziati gli effetti dannosi – fisici e psicologici – che l’uso eccessivo degli smartphone può provocare. L’elenco è lungo.
Si va dalla miopia al diabete, dall’ipertensione all’aggressività, dall’alienazione alla dipendenza, dalla diminuzione della capacità di concentrazione ai deficit di memoria. «A preoccupare di più», scrivono i senatori sulla base dello studio commissionato ad équipe di esperti, «è la progressiva perdita di facoltà mentali essenziali […]: la capacità di concentrazione, la memoria, lo spirito critico, l’adattabilità, la capacità dialettica». Sugli effetti dell’abuso di smartphone e videogiochi, nell’indagine-shock del Senato si legge che non c’è «nulla di diverso dalla cocaina. Stesse, identiche, implicazioni chimiche, neurologiche, biologiche e psicologiche».
L’EPITAFFIO SULLA “SCUOLA DIGITAL” FIRMATO DAL SENATO
Siamo di fronte alla più profonda rivoluzione antropologica del secolo, che andrebbe governata – come specifica il documento allegato alla circolare ministeriale – attraverso divieti inderogabili per scuola e famiglie. Qualche esempio di obblighi citati ma colpevolmente lasciati cadere nel vuoto: «Scoraggiare l’uso di smartphone e videogiochi per i minori di quattordici anni; rendere cogente il divieto di iscrizione ai social per i minori di tredici anni; prevedere l’inibizione all’accesso a siti per adulti sui cellulari dei minori; favorire la riconoscibilità di chi frequenta il web; vietare l’accesso degli smartphone nelle classi; educare gli studenti ai rischi alla navigazione sul web; […] incoraggiare, nelle scuole, la lettura su carta, la scrittura a mano e l’esercizio della memoria».
Nulla di tutto questo è stato fatto. Oltretutto – ed è la beffa finale – dal documento ministeriale si legge che «dal ciclo delle audizioni svolte e dalle documentazioni acquisite dal Senato non sono emerse evidenze scientifiche sull’efficacia del digitale applicato all’insegnamento». La chiusa finale della Commissione del Senato ha dell’incredibile: «Anzi, tutte le ricerche scientifiche internazionali citate dimostrano, numeri alla mano, il contrario. Detta in sintesi: più la scuola e lo studio si digitalizzano, più calano sia le competenze degli studenti sia i loro redditi futuri». Un necrologio alla scuola digital (almeno per com’è concepita ora).
La DOMANDA SEGRETA DEL NOBEL: «COME CI SI SENTE?».
In ogni caso, in barba agli esperti, alle circolari ministeriali e ai loro scottanti (e sottaciuti) allegati, molto prosaicamente va registrato che ogni mattina che Dio manda in terra un insegnante deve vigilare (e a volte sgolarsi) affinché gli studenti ripongano i cellulari nello zaino. Cosa che poi accade, sì, ma appena per quella manciata di minuti che servono per allungare di nuovo la mano e ricontrollare il proprio smartphone (si chiama “nomofobia”, termine entrato nei vocabolari, e sta per stato ansia collegato alla paura di non essere connessi). Una giostra perenne, un ping pong frustrante che la scuola non merita.
Eppure la piccola-grande lezione di Bob Dylan ci dice che volere è potere. Se si vuole, si può. La risposta (al deficit d’attenzione e di rispetto) sembrerebbe allora non soffiare più nel vento, ma in regole semplici e chiare. Via il cellulare, via la dipendenza, via le nevrosi da disconnessione. Per poi domandarsi: «How does it feel?». (Fonte foto: Bing, immagine libera per condivisione e uso)
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