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Studenti di scuola parentale, la grande discriminazione
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29 Maggio 2020

Studenti di scuola parentale, la grande discriminazione

Che il governo italiano non abbia troppo a cuore l’istruzione, o comunque non sia in grado di occuparsi con l’attenzione che merita del comparto scuola, lo si era già purtroppo compreso dal trattamento riservato alle scuole paritarie, del tutto dimenticate, con conseguenze potenzialmente devastanti anche per le stesse scuole statali, che rischiano a breve di trovarsi a fronteggiare una marea ingestibile di nuove iscrizioni. Ora però dell’infelice linea governativa sul tema giunge una nuova conferma; ci riferiamo alle scuole parentali, la cui programmazione da qui ai prossimi mesi – in particolare per quanto riguarda le date degli esami – pare a dir poco discriminatoria. Il Timone ha deciso di approfondire la questione avvicinando Giuseppina Clementi, mamma e insegnante di quattro alunni della scuola parentale G.K. Chesterton di San Benedetto del Tronto.

Signora Clementi, dopo aver snobbato le scuole paritarie, il governo sembra proprio essersi dimenticato anche delle scuole parentali, non è così?

«L’istruzione parentale, oltre che un diritto costituzionalmente riconosciuto alle famiglie, è un modo di assolvimento dell’obbligo scolastico. In poche parole, i nostri studenti non sono studenti di serie B ma ragazze e ragazzi che fanno un percorso scolastico serio e devono sostenere ogni anno un esame finale piuttosto impegnativo. Ebbene, ad oggi non sappiamo ancora quando i nostri studenti potranno concludere il loro anno scolastico: “Entro il 1° settembre” stabilisce infatti l’ordinanza del Miur del 16 maggio. Praticamente con il riavvio del nuovo. Più che una dimenticanza, ci sembra quindi una vera e propria discriminazione».

Quali sono i passaggi più critici, per i quali vi sentite discriminati?

«Da anni dobbiamo “districarci” tra note ministeriali, circolari e burocrazia per garantire ai nostri studenti il diritto all’istruzione. Sono anni che chiediamo al Ministero di colmare ad esempio il vuoto normativo sull’istruzione parentale tra il III e il IV anno della scuola superiore, presentando diverse proposte e soluzioni. L’emergenza epidemiologica ha messo in evidenza la palese disparità di trattamento tra studenti della scuola statale e quelli che, con grandi sacrifici, hanno fatto una scelta diversa. Esami di terza media da casa, promozione anche con insufficienze, abolizione delle prove scritte alla maturità per gli studenti interni, mentre per quelli provenienti da istruzione parentale soliti esami di idoneità in presenza, con la differenza che quest’anno, quando si ricorderanno di noi, forse potremo andare in vacanza. Basti pensare che i nostri maturandi, come centinaia di candidati privatisti, dovranno aspettare il 10 luglio per gli esami preliminari e la fine di settembre per quelli di maturità. Se questa è l’omogeneità di trattamento di cui parla il decreto scuola, sono davvero disorientata».

Come intendete manifestare il vostro dissenso, rispetto a tutto questo?

«Come abbiamo sempre fatto, lavorando sodo, bussando a tutte le porte e portando le nostre ragioni ovunque. La scuola parentale è un frutto della libertà delle famiglie che dovrebbe essere visto con favore da tutti e garantito, non solo formalmente, dallo Stato. Tantissime persone, anche fuori dall’Italia, guardano con simpatia e stima all’esperienza della nostra scuola parentale: vengono a trovarci, si fermano diversi giorni nelle nostre case e se possono ci aiutano anche economicamente. Non chiediamo tanto al nostro Governo, ma almeno ci tratti come tutti i cittadini e ci lasci la libertà di poter fare i genitori per i nostri figli, anche fuori di casa. Comunità di famiglie, all’opera insieme, sono una risorsa e una speranza per il paese. La storia lo insegna. Mi auguro che il “distanziamento”, parola d’ordine in tempo di pandemia, non diventi una formula sociale anche per il dopo».

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