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Stilla come rugiada dal Kuwait #15 – Le tentazioni della maggioranza
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25 Luglio 2021

Stilla come rugiada dal Kuwait #15 – Le tentazioni della maggioranza

XVII Domenica del Tempo Ordinario 25/07/2021

Commento al Vangelo Gv 6, 1-15

Allora Gesù, alzàti gli occhi, vide che una grande folla veniva da lui e disse a Filippo: «Dove potremo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?».

Mi ha sempre colpito questa pagina di Vangelo che la liturgia ci propone oggi (tra l’altro, in questa domenica, avviene una sorta di “sforbiciata” alla lettura del Vangelo di Marco che abbiamo fatto finora in maniera lineare e prende spazio, per cinque settimane, la lettura del sesto capitolo di Giovanni), poiché contrappone due situazioni estreme in un brevissimo lasso di tempo che rappresentano in maniera plastica non soltanto la contingenza della situazione che Gesù si trova ad affrontare assieme ai suoi discepoli ma anche una condizione psicologica dell’uomo e, quindi, anche di Gesù. Una folla va incontro a Gesù e Gesù se ne accorge mostrando una “apparente” preoccupazione perché “non sa come sfamarli”, ossia come rispondere al loro bisogno.

In primo luogo questa è, senz’altro, un’immagine pragmatica della necessità materiale di quelle persone: hanno camminato a lungo, sotto il sole per giungere in un luogo deserto: come accoglierli?

Giovanni annota, subito dopo la domanda di Gesù, che questa sua richiesta a Filippo è una prova; sapeva bene quello che avrebbe fatto di li a poco ma vuole lanciare una sottile e buona “provocazione” all’apostolo: tu che dici di fare? Filippo non sa che fare in realtà. Non lo dice apertamente (non può certo fare brutte figure) ma dà una risposta che denota una preoccupazione sottile, dove possiamo scorgere un pizzico di egoismo: non basterebbero duecento denari per sfamarli (una cifra consistente che Gesù e gli apostoli non possedevano), lascia stare, mandali a casa, riposiamoci un po’: hai fatto già segni importanti, la gente non si sazia mai, basta!.

Gli fa eco Andrea: c’è qua un ragazzetto con cinque pani e due pesci, ottimo pensiero ma che ci facciamo?

Gesù è deciso: fateli sedere. Ma non è questa la riposta definitiva alla domanda che Lui ha posto; non hanno risposto né Filippo, né Andrea. Risponderà Lui alla fine del Vangelo come vedremo tra poco.

Questo ragazzo anonimo, di cui non sappiamo nulla è la chiave di volta di questo dialogo “logistico” di Gesù con gli apostoli. Questo giovane vuole stare con Gesù, vuole stare nella comunità di Gesù, vuole partecipare della condivisione di Gesù e quella risposta: “Fateli sedere” è una risposta data a quel ragazzo, che è l’unico ad aver capito, non perché più intelligente ma perché è entrato nella domanda di Gesù, ha ascoltato quello che Gesù ha detto, perché quando siamo interessati a qualcuno o a qualcosa, ci immedesimiamo nell’altro e anticipiamo le sue mosse; così ha fatto questo ragazzo, anzi ha fatto molto di più.

Il ragazzo si avvicina ad Andrea, presenta quello che ha: cinque pani e due pesci, probabilmente ciò che ha raccolto nella “dispensa” che aveva portato assieme ai suoi familiari: consegna, cioè, la sua eredità, tutto quello che ha; ma perché la consegna ad Andrea e non direttamente a Gesù?

Il ragazzo non se ne rende conto ma consente a Gesù di spiegare ai discepoli la loro vocazione, che lo stesso ragazzo, mostra di aver intuito seppur non compreso totalmente. Egli si è accorto che quei dodici intorno a Gesù sono un gruppo di “scelti” chiamati a stare con Lui, ha capito che per loro Gesù ha un “debole”, ha una missione da affidargli, una responsabilità, si attende da loro (come abbiamo visto domenica scorsa) una risposta. Lui stesso, velocemente, si pone la questione: chi sono io? Io non posso arrivare da solo al Maestro, perché non sono uno di loro ma loro sono un tramite tra noi e Lui, loro sono i suoi fratelli e io per conoscere Lui parto da chi già lo conosce; per farmi notare da Lui, mostro chi sono a chi gli sta vicino perché anch’io magari possa entrarvi. Il ragazzo ha bisogno di un tramite, un ponte, il “pontifex”: il Pontefice, che nella storia romana era l’imperatore, il ponte tra la gloria di Roma e le divinità celesti e per noi, con Pietro, il Vicario di Cristo in terra.

Il ragazzo scopre la Chiesa, scopre il Collegio Apostolico, scopre che per arrivare a Dio abbiamo bisogno di un tramite perché Dio per arrivare a noi si è incarnato, Egli stesso, in un “pontifex”: Gesù di Nazaret. Il ragazzo ha risposto ad una chiamata: ecco tutto quello che ho, lo affido alla Chiesa perché lo presenti a Dio per il bene di tutti. Ecco perché Gesù dice: “fateli sedere”; perché è come se dicesse a quel ragazzo: grazie, il tuo sacrificio concede il ringraziamento di tutti, l’eucarestia (ringraziamento), il pane trasformato e moltiplicato, donato a tutte le genti (dodici canestri di Pane avanzato, come le tribù di Israele e come gli apostoli, immagini di tutto il mondo conosciuto).

Ma Gesù va oltre. Ho iniziato questo mio commento dicendo che il brano odierno si apre e si chiude con una “contraddizione”, eccola: la folla che gli va incontro, numerosa, assetata di stare con Lui e la solitudine di Gesù, poco tempo dopo: “Ma Gesù, sapendo che venivano a prenderlo per farlo re, si ritirò di nuovo sul monte, lui da solo”. Dobbiamo porre attenzione a questa frase. Gesù viene criticato nel Vangelo, come lui stesso dice, perché è un “beone e mangione”, termini che indicano una certa predisposizione di Gesù alla vita comunitaria: Lazzaro con Marta e Maria (suoi amici fraterni), le nozze di Cana, le cene ospite di Simone e di altri notabili, gli stessi apostoli; non era certo un “orso”! Allo stesso tempo è evidente che questo non è un ritirarsi per pregare, perché quando questo avviene, è sempre specificato. Gesù si ritira da solo, vuole stare da solo perché sperimenta la solitudine che nasce da uno stare assieme senza motivo, senza una “chiamata”: andavano da Lui per farlo re ma Lui non voleva essere re, Lui non chiedeva questo e la folla non lo aveva capito, neanche i discepoli, forse, purtroppo. Lui voleva essere il Messia, riconosciuto perché datore di Vita, moltiplicatore della vera eredità, il Regno dei Cieli, la Verità, così cercata, così sperata, così agognata dagli uomini eppure spesso rifiutata o non riconosciuta. Gesù si ritira da solo, perché sperimenta, umanamente, quella solitudine che solo Dio può colmare: ci spiega che alla fine, l’uomo cade nel tranello della maggioranza: facciamolo re, lui fa i miracoli, siamo a posto per sempre. Ma noi siamo a posto quando siamo riconosciuti e amati personalmente, non come folla.

“Grazie per la celebrazione padre, grazie per aver ricordato nostro figlio”. Una coppia di sposi libanesi ha fatto celebrare una Santa Messa per il loro figlio morto giovanissimo. A fne messa, in sacrestia, hanno voluto far benedire il pane arabo preparato per regalarlo a coloro che hanno pregato nella Santa Messa, come gesto di comunione, perché Dio si è fatto pane per stare in mezzo a noi e così quest’uomo semplice, dallo sguardo buono ha voluto aggiungere: “il pane è buono anche solo, certo con humus e moutabal è più buono, ma da solo ti nutre e quando la solitudine ti assale, il Pane Vero è l’unica compagnia”

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