III Domenica di Avvento 12/12/2021
Commento al Vangelo Lc 3, 10-18
Le folle lo interrogavano: «Che cosa dobbiamo fare?».
Nella mia semplicità di sacerdote, come insegnante, vice parroco, parroco ed infine cappellano militare, ho sempre sentito rivolgermi questa domanda. Mi hanno chiesto cosa avrebbero dovuto fare giovani ragazzi adolescenti, genitori preoccupati o smarriti nel loro ruolo, persone alla ricerca del “senso della vita”, persone anziane che sentivano nel loro cuore che, seppur carichi di esperienze accumulate negli anni, non si sentivano “appagati” o sicuri delle loro scelte o decisioni da prendere.
Questa è una delle domande cardini della nostra esistenza: che fare?
Le folle chiedono al Battista molto di più, in realtà, di un consiglio pratico o di una indicazione tecnica. Dietro questa domanda ci sono almeno altre due domande fondamentali connesse e propedeutiche e un riconoscimento pubblico da parte loro. La prima domanda sottintesa è: chi sono io? Prima di “fare qualcosa”, dobbiamo chiederci chi siamo. Se non sappiamo chi siamo non possiamo mettere in gioco le nostre facoltà e le nostre capacità.
La seconda domanda sottintesa è: perché fare qualcosa? E’ la tematica dello scopo, non possiamo fare nulla senza sapere lo scopo e aver deciso liberamente di perseguirlo. Lo scopo, il motivo, l’ideale, ci spingono a fare, altrimenti sarebbe tutto uno sforzo invano, senza appunto avere in cambio il guadagno dell’aver centrato un obiettivo, aver soddisfatto veramente la nostra libertà.
Infine troviamo un riconoscimento che compiono queste folle: il Battista è persona autorevole, è un uomo di cui ci si può fidare, un uomo che conosce il cuore dell’uomo e il cui consiglio è realmente una luce che trafigge la nostra oscurità.
Giovanni Battista, l’esempio sublime di educatore, “il più grande tra i nati di donna” come Gesù stesso lo definisce, risponde a questa domanda esprimendo un metodo preciso. I padri, i maestri, gli educatori non sono coloro i quali cancellano magicamente il problema delle persone loro affidate, ma sono coloro che condividono e indicano un metodo: camminano con te, tenendoti la mano, lasciandoti camminare sulle tue gambe. Così si cresce e si impara ad amare.
Rispondeva loro: «Chi ha due tuniche ne dia a chi non ne ha, e chi ha da mangiare faccia altrettanto». Vennero anche dei pubblicani a farsi battezzare e gli chiesero: «Maestro, che cosa dobbiamo fare?».Ed egli disse loro: «Non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato». Lo interrogavano anche alcuni soldati: «E noi, che cosa dobbiamo fare?». Rispose loro: «Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno; accontentatevi delle vostre paghe»
Il criterio è la realtà. Per prepararsi all’incontro con il Signore, l’avvento del Messia nella carne umana, il principale criterio è la tua realtà quotidiana: sei sposato? Sei genitore? Lavori? Vivi fedelmente questa vocazione. Sei nella possibilità di condividere la tua vita? (Chi ha due tuniche ne dia a chi non ne ha, e chi ha da mangiare faccia altrettanto) parti proprio con la vita reale: tunica e cibo sono la casa, crea intorno a te una casa, condividi l’amore della tua casa con chi non ha questo amore o che ha perso questo amore. Vivere la propria vocazione alla luce della realtà ti consente di scoprire la carità, perché la prima carità più importante di tutte è proprio verso noi stessi, se non scopriamo di essere amati da Dio perché inviati a conoscere e portare questo amore, noi non possiamo sperimentare la gioia del donare. La nostra conversione non ha bisogno di atti “miracolistici”, necessita soltanto della disponibilità a vivere ogni istante della nostra vita nel respiro del Vangelo, della Verità. Primo passo quindi, la disponibilità a vivere la realtà a cui siamo chiamati.
Il secondo passo della metodologia del Battista è la giustizia. Vennero anche dei pubblicani a farsi battezzare e gli chiesero: «Maestro, che cosa dobbiamo fare?».Ed egli disse loro: «Non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato». Lo interrogavano anche alcuni soldati: «E noi, che cosa dobbiamo fare?». Rispose loro: «Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno; accontentatevi delle vostre paghe».
Pubblicani e soldati erano due categorie particolari. Non erano amati dal popolo, perché considerati sfruttatori fedeli a Cesare, poiché nascondendosi dietro il loro ruolo, depredevano le persone o ne approfittavano, anche con la violenza.
Pubblicani e soldati insistono con la domanda, come se avessero consapevolezza che quello che poteva bastare per le persone “normali”, non fosse sufficiente per loro. Il Battista risponde con il primato della giustizia: fate quello per cui siete pagati, senza approfittare, senza corruzione, senza violenza: il vostro dovere.
Praticare la giustizia è una delle forme più belle per maturare nella santità: la giustizia è l’occhio con cui dobbiamo guardare la realtà, è la virtù che riecheggia nel nostro cuore più forte che mai e che quando neghiamo o tradiamo, di più sentiamo lo strappo, la ferita; quante volte ripetiamo: questo è ingiusto! Questo non lo merito! Ogni volta dovremmo pensare quante volte anche noi siamo stati capaci di vivere la realtà con gli occhi della giustizia. Senza cedere alle lusinghe facili del potere, qualunque esso sia.
L’avvento ci prepara proprio a questo riconoscimento, la realtà come fattore principale della nostra santificazione nella giustizia di Dio. Per questo, del resto, Dio si è fatto uomo, per indicarci che la realtà è amica se vissuta “giustamente”, se amata anche se spinosa, se affrontata e trasfigurata quando ci si presenta come un muro invalicabile. La pedagogia del Battista è la pedagogia del cristiano: vivere ogni istante come se fosse l’ultimo, ma con la gioia che sia il primo e così ci troveremo a dire insieme a Giovanni: “Ecco l’Agnello di Dio”, ecco la Salvezza che si avvicina, ecco la realtà che mi conduce all’Eternità!
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