Solennità di Tutti i Santi 01/11/2021
Commento al Vangelo Mt 5, 1-12a
La Chiesa anticipa la Commemorazione dei fedeli defunti con la Solennità di Tutti i Santi, i battezzati che hanno vissuto la loro esistenza umana completamente permeati dal Vangelo, dalla Grazia dei Sacramenti, coloro che hanno scelto la parte migliore che non gli è stata tolta. Tutti i battezzati sono chiamati alla Santità, alla pienezza della vita. La liturgia odierna ci pone innanzi il Vangelo delle Beatitudini, l’esortazione più bella alla Santità.
In quel tempo, vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. Si mise a parlare e insegnava loro dicendo:…….
Innanzitutto il gesto del Signore è significativo già per la sua “postura”, per il suo movimento: salì sul monte. Salire sul monte indica la vera “messianicità” di Gesù; il monte è il luogo delle rivelazioni di Dio e, quale nuovo Mosè, ultimo e definitivo (dopo il quale non ce ne saranno altri!), il Signore dà la buona notizia, il Vangelo.
“Beati…..”: “‘Ashrè”, parola che in ebraico significa soprattutto un invito ad andare avanti (l’etimologia di ashrè è ashar ovvero avanzare, andare avanti), promessa che è certa e precede quanti vivono una determinata situazione, parola che indica uno stile da assumere, parola che cambia l’ottica con la quale si guardano la vita, la realtà, gli altri.
Le Beatitudini non sono un obbligo normativo, sono la gioia che nasce dallo stile di vita mutuato dalla Grazia del Vangelo. La nostra traduzione “beati” ci fa perdere il significato pieno dell’esortazione del Salvatore. In italiano non esiste una traduzione totalmente fedele ma una serie di traduzioni. “Beati” non può essere inteso come aggettivo: è un invito alla felicità, alla pienezza di vita, alla consapevolezza di una gioia che niente e nessuno può cancellare o modificare.
Possiamo aggiungere a questo termine la parola “benedetti”, “graziati”, “coraggio amati dal Signore!” o, in senso oppositivo, il contrario di quel “guai a voi…” che riecheggia nel Vangelo quando il Signore esorta a conquistare la Speranza e la misericordia, abbandonando la durezza del cuore, il braccio stretto del maligno.
In quest’ottica dobbiamo ripeterci questo bellisimo testo poetico e siamo chiamati ad esultare perché essere “avanti” ( Ashrè ) come poveri in spirito vuol dire che abbiamo abbandonato il marcio egoismo spirituale che ci divora di un finto benessere psicofisico e siamo pronti ad accogliere in semplicità la battaglia della quotidinità; possiamo “gloriarci” anche nel pianto, il nostro pianto della vita, spesso fatto di notte quando gli altri non ci vedono, perché quelle lacrime sono redente nell’acqua del Battesimo dove già riceviamo la consolazione che ogni giorno ci raggiunge alle “orecchie” con la Scrittura e nel cuore con i sacramenti; avremo in eredità la terra, cioè la fonte di vita per eccellenza, perché chi è mite è capace di lavorare, ossia trasformare il solco (la ferita) nella culla del seme, della vita e così accogliere il bene anche laddove spadroneggia il male; siamo saziati nei nostri desideri di giustizia, nella fame e nella sete: la giustizia che desideriamo dal cuore, che nasce dalla “fame” di verità e la giustizia come “sete” di bene per chi ci sta vicino che non vogliamo mai subisca il torto del nostro limite, perché viviamo per la vita eterna e non c’è nulla di più “iustum” che il diritto a stare con Dio; siamo invasi dalla misericordia quando sperimentiamo nella nostra vita quello che indica questa parola: “un cuore che si riconosce povero” perché si arricchisce dei doni dello Spirito Santo e allora diventa potente perché deve amare tutta la terra e occorre che sia puro, che sappia inzupparsi della grazia di Dio, riempirsi della sua carità e il termometro di questo è lo sguardo: quando sappiamo dire “ti amo” intendendo amo la tua vita perché è eterna e vivo perché tu la possa sperimentare già da adesso! Questo indica che siamo puri e non obnubilati dal nostro egocentrismo; siamo esortati ad operare la pace, che non è l’assenza di guerra, ma l’orizzonte dell’eternità: pace a te, vuol dire io ti conduco con me nella certezza della presenza del Signore e camminiamo assieme, fratelli, testimoniando la comunione di Dio e per tutto questo, per quel “iustum” di cui abbiamo parlato nella giustizia, siamo sgraditi al “mondo”, siamo sgraditi a coloro i quali Gesù dice: “guai a voi….” poichè non vogliamo perdere questa Grazia conquistata, non vogliamo perdere l’eternità per un ciuffo di vanagloria, per un quieto vivere, per l’edonismo che non disseta l’anima, per il rumore che stordisce e sprofonda il vuoto dei nostri cuori, non vogliamo perdere nulla di tutta questa “beatitudine” e siamo odiati per questo perché la Verità rende liberi e chi odia la Verità afferma la menzogna e saremo additati come “radicalisti”, “retrogradi”, “reazionari” e non “inclusivi”: rallegriamoci e gioiamo, perché stiamo sperimentando il dolore della Passione che è la Giustizia di Dio, la porta della gioia eterna che Gesù ha attraversato e spalancato per ciascuno di noi, perché possiamo essere Santi! Beati noi!
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