Tanto peggio per i fatti, e anche per le parole dunque. Questa potrebbe essere la sintesi della linea tenuta dal colosso dello streaming Spotify in merito alla vicenda della scuole residenziali canadesi, o meglio in merito a una smentita allo scandalo dei maltrattamenti e delle centinaia di morti sospette avvenute in quelle scuole gestite dalla Chiesa cattolica e da quella anglicana (ma istituite e finanziate dallo Stato canadese), talmente sospette che…non se ne è trovata alcuna traccia. Proprio nessuna. Sul Timone ne avevamo già parlato, ricostruendo in dettaglio la vicenda anche sulle pagine del numero di aprile 2024 della nostra rivista (qui per abbonarsi).
Nonostante i considerevoli fondi investiti per scoprire quella che preventivamente veniva già pianta come «straziante verità» delle ipotetiche tombe presso la Indian residential school di Kamloops e dei 215 bambini tolti con la forza alle famiglie, uccisi e sepolti non si è trovata alcuna evidenza, nulla, niente di niente. Meglio allora cancellare anche tutte le tracce di chi, come per esempio un ex dipendente di una di quelle scuole residenziali, ora chiusa, smentisce «le narrazioni storiche che circondano le scuole residenziali sono state distorte da attivisti di estrema sinistra».
Così ha deciso di fare Spotify, rimuovendo – lo riporta Lifesitenews – «un episodio di uno dei suoi programmi più popolari che parlava delle scuole residenziali per indigeni gestite e istituite dal governo canadese, citandolo come “contenuto pericoloso”». Sul contenuto in questione e sul criterio utilizzato per classificarlo come cattivo non è stata data alcune spiegazione. Nella nota ufficiale della piattaforma norvegese per la riproduzione musicale, video e podcast è laconicamente dichiarato che “Dopo la revisione, abbiamo rimosso i seguenti contenuti per violazione delle Regole della piattaforma Spotify sui contenuti pericolosi”. L’episodio in questione appartiene al programma The Faulkner Show di True North e contiene un’intervista a Rodney Clifton, ex insegnante in una scuola residenziale canadese.
Nella sua testimonianza diretta, Clifton racconta la sua esperienza personale e professionale nel sistema delle scuole residenziali, concludendo, con ragionevole equilibrio, che «nelle scuole residenziali sono successe cose buone e cattive, e le cose buone sono state offuscate dalle accuse di cose cattive e dalle persone che ricevono soldi per aver detto cose cattive». Parole che non si possono ascoltare, secondo Spotify e secondo quanti, come il primo ministro Trudeau che ha già stanziato altre centinaia di milioni di dollari per aiutare i nativi a guarire dal trauma generazionale, ritengono questa vicenda l’ennesima prova di quanto la chiesa cattolica sia detestabile.
Un messaggio che purtroppo è giunto forte e chiaro all’opinione pubblica, considerato l’aumento vertiginoso di attentati e atti vandalici a danno delle chiese diffuse nel Paese immediatamente dopo lo scandalo-fuffa delle scuola residenziali. Il trauma, è vero, ha una sua trasmissibilità ed esistono evidenze per cui ciò che ha ferito un padre può passare per via epigenetica ai figli e persino ai nipoti; è vero ed è possibile guarire. Naturalmente, per guarire da qualcosa e anche per riceverlo in eredità è necessario che questo sia effettivamente avvenuto.
Altrimenti ciò che sembra voler far succedere il governo canadese, di concerto con i media principali e più allineati, rischia di assomigliare a quello scherzo idiota che era diventato virale su Tik tok per cui un genitore fingeva che il suo bambino molto piccolo si fosse fatto male convincendolo, suo malgrado, a piangere. Strano modo di censurare, quello contemporaneo: siamo sommersi da terabyte di dati e proposte di ogni genere, siamo messi davanti ad opzioni pressoché infinite e questo ci dà l’illusione della libertà assoluta, della disponibilità senza limiti, mentre c’è chi gestisce questi mastodontici distributori di contenuti e può decidere, spesso arbitrariamente, chi e cosa farci ascoltare. E spesso, come in questo caso, è la verità ad essere zittita. Allora è il caso di farsi sentire. (Fonte foto: Ansa/Pexels.com)
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