Converrebbe aspettare a togliere la gabbietta ai tappi di spumante, prima che partano inavvertitamente: non è così certo che ci sia di che festeggiare, anzi. La Siria è stata liberata dai cattivi e a prescindere dai “liberatori” siamo sicuri che si appresti a sbocciare in una festosa primavera di democrazia o meglio – dovendo prendere quello che passa il convento – a finire sotto un governo gestito da un ossimorico «fondamentalismo moderato»? Narrazione è tra i termini più abusati degli ultimi anni, ma in questo caso conviene chiamarlo in causa: sui molti media italiani e occidentali in genere non si raccontano solo i fatti, ma vengono forzate connotazioni positive dove invece persistono una grande complessità e numerosi pericoli legati all’islamismo radicale che, a quanto è dato sapere, non ha cambiato il proprio core business.
Odia l’Occidente e tutto ciò che rappresenta e intende espandersi il più possibile. Ciò che è successo l’8 dicembre in Siria, e si sta tuttora consumando nel Paese con enormi ripercussioni sul Medio Oriente e su tutto lo scacchiere internazionale, quindi, è tutt’altro che una svolta positiva, dal momento che essere liberati da un tiranno, ancorché appoggiato da Putin, non significa affatto che ora la situazione sarà migliore, né per la popolazione siriana, né per le relazioni internazionali.
I FATTI
Nella notte tra sabato e domenica scorsi il gruppo jihadista HTS, Hayat Tahrir al -Sham, è entrato nella capitale Damasco già abbandonata dal presidente Bashar al Assad, datosi alla fuga, e senza incontrare alcuna resistenza da parte dell’esercito regolare. «In un video trasmesso dalla tv pubblica siriana», riferisce anche TGcom24, «i ribelli hanno annunciato la caduta del regime e “la fine della tirannia dopo 50 anni”. Il premier Mohammed Ghazi Jalali ha teso loro la mano e resterà formalmente nel suo ruolo fino alla completa transizione dei poteri».
Abu Muhammad Al Jolani è il leader a capo dei ribelli insorti contro Assad. Arrivato in città è stato ripreso mentre baciava la terra e le sue prime parole ufficiali, pronunciate alla folla radunatasi nella moschea degli Omayyadi, sono state una proclamazione di «vittoria per la nazione islamica». La storia di Jalali è quella di un leader jihadista che sta facendo carriera: da fondatore di Hts ha cercato di smarcarsi dalle altre forze militarizzate impegnate oltre confine per concentrarsi sulla creazione di una «Repubblica islamica» in Siria; dal 2016 definisce sé e il suo gruppo «custodi credibili di una Siria liberata da al-Assad».
REBRANDING DI UN CAMPIONE DEL TERRORE: LAVORI IN CORSO
Ciò che per esempio sta facendo in questo momento il governo Usa è una sorta di operazione di restyling del marchio Jalani. Da terrorista internazionale sul quale pende una taglia di 10 milioni di dollari ad interlocutore affidabile per decidere gli equilibri mediorentali in poche semplici mosse. Questo è ciò che al Jalani preme per ottenere e il governo di Washington sembra volergli concedere, nonostante sanguinoso e fitto curriculum fatto di violenze terroristiche, a danno per esempio dei curdi, e la mai rinnegata continuità ideologica con il grande terrorismo jiahdista di Al Quaida dal quale si è allontanato solo per questioni di visioni strategiche, non di “ideali” che restano tali e quali. Il terrorista che ora si definisce solo “ribelle” spera dunque di diventare l’interlocutore ufficiale riconosciuto a livello internazionale e la taglia di 10 milioni potrebbe smettere di pendere sul suo capo, mentre il passato di massacri e il futuro in cui ambisce di veder trionfare l’islam radicale non sono cammuffabili nemmeno con un extreme make-over jihad edition.
NON È QUI LA FESTA
Bisognerebbe ricordarlo ai leader occidentali di Usa e Ue che, come scrive anche il “buon” Marco Travaglio sul Fatto di oggi, in preda a incoscienti entusiasmi per una Siria passata dalla mezzo-secolare tiranni di Assad al giovane e dinamico Califfato jihadista. Il “pragmatico” capo dei ribelli, concentrato sulle cose da fare, ha intanto abbandonato il suo nome di battaglia, non è più Abu Mohammed al Jolani ed è entrato a Damasco in una “Siria purificata” come Ahmad al-Sharaa osannato dalla folla come “il Conquistatore”. In rete c’è chi si attarda a considerarne la poetica somiglianza con Fidel Castro (ah, la poesia dei tiranni illuminati…), a festeggiare addirittura le due vittorie dell’Occidente con la caduta di Assad, sostenuto da Russia e Iran e con colpevole ingenuità si dimentica di considerare quanto abbia incassato invece la Turchia del diversamente liberale Erdogan, spietato persecutore della minoranza curda e insaziabile destinatario di fondi anche europei per tenere a bada ondate di profughi verso i nostri lidi.
L’Iraq del dopo Saddam, come la Libia del dopo Gheddafi, leader tirannici che non ha naturalmente senso rimpiangere, dovrebbero ricordare a quanti sono pronti a brindare per una Siria liberata che la geopolitica non si fa per tifoserie e non si può fingere che buoni e cattivi siano come gli eroi e gli antagonisti di un film hollywoodiano anni Novanta. (Fonte foto: Ansa)
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