dal blog Espada de doble filo (traduzione di Una Vox)
Non tutto è roseo nella vita. Occorre fare anche delle cose sgradevoli di tanto in tanto. Vi sono di quelli che lavorano nelle fogne tra sporcizia e topi, altri che spaccano le pietre sotto un sole rovente a mezzogiorno e io questa settimana ho dovuto assumermi il compito molto fastidioso di leggere delle disquisizioni eterodosse. E così oggi presento la mia analisi dell’intervento del Padre Alain Thomasset SJ, teologo francese, al cosiddetto «concilio ombra», recentemente convocato presso l’Università Gregoriana da alcuni vescovi tedeschi, francesi e svizzeri, per preparare la loro strategia per il Sinodo di ottobre.
A rigore di logica, non ho scoperto nulla di nuovo. Quello che ha detto Padre Thomasset SJ è quanto ci si poteva aspettare, tenuto conto del luogo in cui ha pronunciato il suo discorso: una riunione semi-segreta per preparare l’introduzione nella Chiesa del divorzio e cose simili. Ma andiamo con calma e cominciamo dal principio, cedendo la parola a P. Thomasset:
«L’interpretazione della dottrina degli atti detti “intrinsecamente cattivi”mi sembra una delle fonti principali delle difficoltà incontrate attualmente dalla pastorale delle famiglie, in quanto determina in ampia misura la condanna della contraccezione artificiale, degli atti sessuali dei divorziati risposati e delle coppie omosessuali, anche stabili».
Secondo me, il Padre Thomasset non avrebbe potuto essere più chiaro. In questo paragrafo (e in tutto il suo discorso) egli manifesta un modo di ragionare che, come ho ripetuto innumerevoli volte, è comune al cardinale Kasper e alla maggioranza, se non a tutti, di coloro che difendono le sue tesi. Questi non partono dalle Scrittura, dalla Tradizione e dal Magistero per giungere a conclusioni in tema di matrimonio, divorzio, ecc.; ciò che fanno è partire dalla premessa indubitabile che gli anticoncezionali sono buoni, che si deve permettere il divorzio e che le coppie dello stesso sesso sono fantastiche, e quindi qualunque dottrina che si opponga a queste cose dev’essere rigettata. Il criterio supremo della fede non è Cristo, ma se una dottrina è o no d’accordo col Zeitgeist.
In altre parole, questi teologi non intendono annunciare il Vangelo al mondo, ma il Mondo alla Chiesa. I loro princípi basilari sono costituiti da ciò che in un dato momento è di moda: negli anni sessanta era il marxismo, oggi le coppie dello stesso sesso, e nei prossimi vent’anni sarà il sacerdozio dei vegetali o qualsivoglia altra cosa. Poco importa, perché ciò che conta, secondo le loro stesse parole, è il politicamente corretto del momento. Per essi, i dogmi del politicamente corretto sono il presupposto, la premessa e il punto di partenza, e non servono giustificazioni, perché basta sapere che essi servono per giustificare tutto il resto.
Così, il Padre Thomasset intende distruggere la dottrina degli atti intrinsecamente cattivi, che è uno dei fondamenti di tutta la morale cattolica, poiché si rende conto giustamente che essa impedisce che si impongano i nuovi dogmi secolari che egli difende. Questa dottrina dice delle cose ovvie: vi sono dei comportamenti che sono oggettivamente cattivi, al di là delle circostanze. Uccidere intenzionalmente un innocente è sempre male. Commettere adulterio è sempre male. Poco importano le scuse che si possono avanzare, vi sono delle cose che non si possono fare mai, in alcuna circostanza. Ma evidentemente, quando si vogliono difendere alcune di queste cose che non possono essere fatte, com’è il caso del Padre Thomasset SJ, bisogna scegliere: o la dottrina della Chiesa o il politicamente corretto; ed egli, secondo quanto ci dice lui stesso, ha scelto il politicamente corretto:
«I riferimenti etici obiettivi forniti dalla Chiesa non costituiscono che un elemento (essenziale, certo, ma non unico) del discernimento morale che deve essere operato in coscienza».
In termini più chiari, per il Padre Thomasset, la Chiesa e la Rivelazione di Dio non hanno il potere di determinare in maniera definitiva che vi sono alcuni comportamenti intrinsecamente (o sempre) cattivi, ma solo quello di dare dei consigli generali, che ciascuno applicherà come meglio gli sembrerà, in funzione dei suoi proprii fini, delle circostanze e della sua storia personale. Ciò che è stato rivelato da Dio in Gesù Cristo è solo un elemento in più che ciascuno deve tenere presente, un elemento importante, ma uno in più. Questo non assomiglia a niente che si possa trovare nella Scrittura, nella Tradizione o nel Magistero di duemila anni di cristianesimo.
Per contro, se il Padre Thomasset e i suoi colleghi agissero come deve agire un teologo cattolico, scoprirebbero immediatamente che la dottrina degli atti intrinsecamente cattivi è quella che insegna la Scrittura.
È incredibile che si debba ricordare ad un teologo che il fondamento della morale cattolica sta nei comandamenti della legge di Dio, che sono basati proprio sull’idea che vi siano degli atti che sono sempre cattivi: non commettere adulterio, non dire falsa testimonianza, non uccidere, non rubare. Tranne che non sia la mia Bibbia a sbagliare o che vi siano delle traduzioni alternative per le quali un comandamento dica per esempio: «in generale l’adulterio non è cosa buona, ma tu sai, perché sei tu con il tuo vissuto, e noi sappiamo, che vi sono delle vicine molto belle e delle mogli molto brutte e in fin dei conti tu hai il diritto di essere felice, perché lo meriti».
Per altro verso, risulta veramente irritante che Padre Thomasset abbia la spudoratezza di affermare che egli fonda la sua tesi «nel contesto della tradizione (sic) cattolica», tacendo il fatto che la Tradizione cattolica rigetta totalmente la sua posizione, di modo che, nel migliore dei casi, bisognerebbe considerare questa posizione come un tumore maligno che la Chiesa si è sforzata di sradicare per due millenni. Infatti, già San Paolo insegnava che non è lecito fare il male per ottenere il bene (cfr. Rom. 3, 8) e da allora la Chiesa ha sempre insegnato la stessa cosa. Potremmo citare San Tommaso, Sant’Agostino e un’infinità di altri Maestri della Chiesa, ma per non farla lunga vediamo una delle esposizioni più recenti di questo insegnamento costante del Magistero: l’enciclica Veritatis Splendor di Giovanni Paolo II:
«Per giustificare simili posizioni, alcuni hanno proposto una sorta di duplice statuto della verità morale. Oltre al livello dottrinale e astratto, occorrerebbe riconoscere l’originalità di una certa considerazione esistenziale più concreta. Questa, tenendo conto delle circostanze e della situazione, potrebbe legittimamente fondare delle eccezioni alla regola generale e permettere così di compiere praticamente, con buona coscienza, ciò che è qualificato come intrinsecamente cattivo dalla legge morale. In tal modo si instaura in alcuni casi una separazione, o anche un’opposizione, tra la dottrina del precetto valido in generale e la norma della singola coscienza, che deciderebbe di fatto, in ultima istanza, del bene e del male. Su questa base si pretende di fondare la legittimità di soluzioni cosiddette «pastorali» contrarie agli insegnamenti del Magistero e di giustificare un’ermeneutica «creatrice», secondo la quale la coscienza morale non sarebbe affatto obbligata, in tutti i casi, da un precetto negativo particolare (n° 56).
Nel caso dei precetti morali positivi, la prudenza ha sempre il compito di verificarne la pertinenza in una determinata situazione, per esempio tenendo conto di altri doveri forse più importanti o urgenti. Ma i precetti morali negativi, cioè quelli che proibiscono alcuni atti o comportamenti concreti come intrinsecamente cattivi, non ammettono alcuna legittima eccezione; essi non lasciano alcuno spazio moralmente accettabile per la «creatività» di una qualche determinazione contraria. Una volta riconosciuta in concreto la specie morale di un’azione proibita da una regola universale, il solo atto moralmente buono è quello di obbedire alla legge morale e di astenersi dall’azione che essa proibisce. (n°67)»
Il Papa espone molto chiaramente che la Chiesa insegna che vi sono degli atti intrinsecamente cattivi, che sono sempre vietati senza alcuna eccezione. Ma evidentemente il buon gesuita francese preferisce non pensare molto a questo, perché tra gli atti intrinsecamente cattivi si trovano l’adulterio, le relazioni omosessuali e l’uso dei mezzi di contraccezione artificiali, che sono proprio i tre trascendentali del bene secondo la dottrina thomassettiana.
In realtà, la proposta di Padre Thomasset è vecchia come il peccato. Ciò che lui sostiene è che il fine giustifica i mezzi, con una nuova formulazione: «privilegiare il dovere più importante», ma con lo stesso concetto di fondo. È evidente la presenza del linguaggio ambiguo che oscura la questione invece di illuminarla. Per esempio: con frequenza egli afferma la dottrina della Chiesa, ma poi con altre parole la nega subito dopo, senza preoccuparsi della contraddizione e conseguendo così l’obiettivo desiderato: dare l’impressione che egli accetti la dottrina della Chiesa, mentre invece la nega.
Ecco un esempio: «un disordine oggettivo, dunque, non comporta necessariamente una colpevolezza soggettiva», cosa che corrisponde alla pura dottrina di San Tommaso e che è del tutto ortodossa; ma ecco che nella frase seguente, come se essa in qualche modo si deducesse dalla frase precedente afferma: «bisognerebbe dire più chiaramente che l’intenzione e le circostanze possono influenzare la qualificazione oggettiva dell’atto».
Tale frase non “chiarisce”, ma al contrario nega ciò che è stato detto prima. Dalla differenziazione tra la malvagità oggettiva e la colpevolezza soggettiva, fatta dalla Tradizione della Chiesa, il Padre Thomasset «deduce» il contrario, e cioè che in realtà tutto è soggettivo, perché la malvagità oggettiva degli atti dipenderebbe magicamente dall’intenzione. Un’assurdità. Ed egli ha la sfacciataggine di dire: «Tutta la tradizione morale cattolica chiama a tale discernimento che considera questi diversi elementi per formulare un giudizio morale rimesso, in ultima analisi, alla coscienza delle persone»; mentre invece egli sa che in realtà le cose stanno esattamente al contrario.
Com’era da aspettarsi, non manca il rigetto totale della Humanae Vitae, richiamando (come sempre) la condotta vergognosa di quei vescovi che negli anni sessanta si espressero contro di essa. Il Padre Thomasset tranquillizza in seguito i lettori dicendo che i contraccettivi che gli sembrano ammissibili sono quelli del tipo non abortivo.
Devo supporre che egli sia in buona fede (quantunque il grado di auto-inganno necessario per questa debba essere di proporzioni galattiche). Tuttavia è evidente che se noi seguissimo queste teorie e rigettassimo l’esistenza degli atti intrinsecamente cattivi, l’aborto, che è uno di questi atti, cesserebbe di essere necessariamente cattivo e la sua qualificazione morale dipenderebbe dalle circostanze, dal conflitto dei doveri e dalla storia di ciascuno.
In altre parole, la posizione del Padre Thomasset non si differenzia in niente da quella dei grandi abortisti attuali, che affermano ipocritamente che l’aborto è una tragedia, ma è anche qualcosa che appartiene alla libera scelta di ogni persona, secondo le circostanze che gli sono proprie. Conseguenza: più di quaranta milioni di bambini abortiti in un anno.
Credete che ciò che dico sull’aborto sia un’esagerazione?
Lo stesso Padre Thomasset, in un’intervista a La Croix nel 2011, presentava il caso di genitori che erano stati informati che il loro bambino sarebbe nato con la sindrome di Down, come un caso da «conflitto di doveri»: fra l’obbligo di rispettare la vita umana e la «necessità di preservare l’equilibrio della coppia e la sua salute». In questo caso, egli dice, il Magistero ci «illumina, ma non può dare che dei riferimenti», perché «la complessità delle situazioni rende impossibile il rispetto di tutti i valori che sono in giuoco», così che ciascuno deve prendere la propria decisione.
In definitiva, la sua posizione è identica a quella della immensa maggioranza degli abortisti: il diritto a decidere di uccidere o no il proprio bambino.
Del pari egli afferma che «una relazione omosessuale vissuta nella stabilità e nella fedeltà può essere un percorso di salvezza» e osa citare, a «sostegno» di questa follia, la vocazione universale alla santità proclamata dal concilio Vaticano II, come se nel Concilio vi fosse la minima giustificazione per l’idea blasfema che il peccato sarebbe un «percorso di salvezza». Questa «stabilità» di cui egli parla, in realtà non è altro che la persistenza nel peccato, che aumenta la gravità del peccato stesso invece di diminuirla, come comprende ogni persona con un minimo di buon senso.
Ugualmente, egli separa le due finalità del matrimonio, la procreativa e l’unitiva, come se si trattasse di due cose separate ed interscambiabili; e lo fa per giustificare l’uso dei contraccettivi, come fanno gli adolescenti, basta che ci sia l’amore.
E ancora, ha la sfrontatezza di affermare che bisogna «sviluppare» le intuizioni di Giovanni Paolo II nella Familiaris Consortio, mentre invece vuole dire che bisogna negare ciò che Giovanni Paolo II ha espressamente insegnato nella sua esortazione apostolica.
A questo bisogna aggiungere che egli confonde intenzionalmente il sensus fidei con il desiderio dei peccatori di auto-giustificarsi; che egli nega alla Chiesa la capacità di insegnare verità morali definitive, perché in ogni caso esse sarebbero soggette a «l’esperienza sempre nuova dei cristiani in un tempo e in una cultura determinati»; che trasforma la coscienza in un sostituto della legge morale; e che il suo scopo principale non è che gli uomini si convertano, ma è quello di «decolpevolizzarli».
Ma in definitiva non voglio annoiare i lettori.
Riassumendo, possiamo dire che la proposta di Padre Thomasset, non solo nega diverse fondamentali dottrine cattoliche sulla famiglia, ma distrugge i fondamenti stessi della morale cattolica, come unico mezzo per ottenere ciò che desidera: l’accettazione del divorzio, dell’aborto, dei contraccettivi e delle relazioni omosessuali.
E non meraviglia che sia così, perché la sua argomentazione non parte dalla Rivelazione del Figlio di Dio al mondo, ma dalla rivelazione basilarmente sessuale dell’onnisciente e sempre saggia Modernità ad una Chiesa oscurantista che per due millenni avrebbe ingannato i cristiani.
Tutto questo, francamente, l’unica cosa che suscita in me è la noia, poiché non si tratta di altro che delle stesse sciocchezze che tanti altri hanno preteso senza successo di introdurre nella Chiesa, qui con appena qualche piccolo e rapido tocco di vernice atto a dissimulare le loro carenze. Per contro, ciò che mi indigna è la pretesa di far passare per cattolicesimo o per «sviluppo» della dottrina cattolica ciò che è semplicemente la negazione totale della fede e della morale cattoliche.
Per favore… noi non siamo degli idioti.