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Sinner, Grande Slam nel nome della Sapienza
NEWS 27 Gennaio 2024    di Valerio Pece

Sinner, Grande Slam nel nome della Sapienza

«Un sorriso non dura che un istante, ma nel ricordo può essere eterno». Così Friedrich Schiller, poeta e filosofo tedesco di fine ‘700, per il quale «chi sa sorridere sa vivere». E Sinner sorride eccome, specie dopo l’ultima sua impresa: battere in quattro set il numero uno al mondo, quel Novak Djokovic ventiquattro volte vincitore di un Grande Slam.

IL “SEGRETO” DI SINNER

Giornali e telegiornali dedicano spazi enormi al giovane altoatesino, quasi a cercare di coglierne il misterioso segreto. Quasi a intuire che oltre ai formidabili colpi del tennista c’è altro. Altro, sì, ma cosa? «Ragazzo educato, alla mano, sempre disponibile con i tifosi”, racconta Davide Fiore, chef e proprietario del ristorante torinese dove un mese fa, durante le ATP Finals, hanno mangiato tutti i big del tennis. «Di tutti i tennisti venuti a cena durante le Finals, Jannik è l’unico che a fine serata è sempre venuto a pagare di persona per tutta la sua tavolata. Senza delegare a qualcuno del suo staff o della sua famiglia, come invece facevano tutti gli altri tennisti». Una certa generosità, con le enormi somme guadagnate, può essere anche scontata; meno, forse, l’andare di persona alla cassa col portafogli in mano (la semplicità di Sinner, così radicalmente legata alle sue montagne, deve inevitabilmente venir fuori).

Finita la partita di ieri, durante l’intervista più importante della sua vita, ha prima pensato di dare il buongiorno agli italiani (l’incontro, iniziato alle 4.30, ha tenuto svegli molti), per poi spostare l’attenzione sui due tennisti italiani che giocheranno la finale di doppio: «Ci sono anche Bolelli e Vavassori!». Nemmeno con i giornali di tutto il mondo scatenati («Sinner è un impasto di potenza e precisione», così la BBC; «L’allievo batte il maestro», titolava invece Der Spiegel) il tennista italiano ha voluto la luce solo su di sé.

LA FAMIGLIA PRIMA DI TUTTO

Del suo attaccamento alla famiglia abbiamo già parlato, ricordando, insieme all’amarezza del distacco forzato al tempo del lockdown, anche precise e molto inattuali priorità: «Mi spiacerebbe partire per l’Australia senza avere visto la mia famiglia: il tennis arriva molto dopo l’affetto e la salute delle persone a cui voglio più bene». Un altro tabù caduto se pensiamo a quanto arrivò a dire, proprio sull’odiata famiglia, Roberto Saviano: «Quando mi chiedono quando finiranno le mafie, rispondo quando finiranno le famiglie. Quando l’umanità troverà nuove forme d’organizzazione sociale, nuovi patti d’affetto, nuove dinamiche in cui crescere vite». Ma è bene tornare a Sinner e a certe sottili piste educative, tutte da cogliere.

UN SORRISO NON “ISTAGRAMMABILE”

«Domenica sarà la mia prima finale Slam: scenderò in campo col sorriso e farò del mio meglio». Eccoci arrivati a una questione tutt’altro che secondaria, se è vero che «il sorriso degli occhi è il sorriso del cuore», e che per molta filosofia – Lévinas su tutti – nel sorriso e nella letizia vede la “porta d’accesso” al mistero della vita. Enrico Radaelli, storico e teologo, parla del sorriso come di «quella dolce, ineffabile espressione che […] apre il volto: lo fa bello», portandolo a diventare «la testimonianza essenziale della civiltà». Un sorriso, quello di Sinner, lontano anni luce da quello delle influencer tutto lustrini & falsità, molto meno “instagrammabile” (la fatica e il sacrificio degli allenamenti non cercano i riflettori, men che meno il sudore). Male ha fatto, allora, quel professore di letteratura italiana dell’Univeristà di Bologna a dedicare un libro «al mio idolo Chiara Ferragni»: La rivoluzione gentile (questo l’incredibile titolo del saggio in uscita per Piemme) ha semmai i capelli rossi, è un uomo, e si guarda bene dallo sfruttare bambini malati.

LA GENTILEZZA CHE ACCHIAPPA

Ora, in un tempo di rabbia irrazionale, se per le nuove generazioni si riuscisse a considerare il valore di una testimonianza potente e credibile, con Jannik Sinner genitori, educatori e insegnanti avrebbero a che fare con un testimonial prezioso. Una risorsa cool in un tempo buio e intellettualmente pigro, un Alessandro D’Avenia in chiave sportiva, ma ancora più popolare, quindi più fruibile. Il tennista ha appena ventitré anni, ma a giudicare dal fatto che non ci sia ragazzino che guardandolo giocare non si appassioni al tennis, né una mamma che non si innamori di quel volto da bravo ragazzo, l’ormai rinomata kindness sinneriana non può non manifestarsi in un senso preciso: squadernare a giovani sazi e disperati, curvi finanche nella postura, il senso promettente e sorprendente della vita. Niente di meno.

È sempre più raro associare pensiero lucido e parola amabile, fermezza, pazienza, prudenza, misura, determinazione. Non ci riescono molti adulti (è di ieri l’infantile attacco di Roberto Burioni a Djokovic, colpevole di non essersi vaccinato, contro il quale la virostar, prima di modificarlo, ha scagliato l’ennesimo tweet), ci riesce il giovane Sinner, icona sportiva capace di ispirare un mood di gentilezza e responsabilità. Come spesso accade, a capirlo per primo è stato il mercato, anche se la campagna pubblicitaria della Fastweb si è limitata ad accostare Jannik Sinner alla velocità. Ancora troppo poco.

IL “SEME” DEL BUONO E DEL VERO

La dottrina patristica del Lógos spermatikòs o, secondo la versione latina, dei semina Verbi, è stata il paradigma più eccitante, inedito e vincente con cui si è riusciti a spiegare il rapporto tra cristianesimo e le altre culture. L’immagine del “seme”, utilizzata già nel II secolo da Giustino, è particolarmente felice, perché riesce ad esprimere l’idea dell’azione del Buono, del Bello e del Vero nel mondo, anche oltre i confini visibili del cristianesimo. Nessuno vuol tirare per la giacchetta Jannik Sinner, va da sé. Nessuno vuol farne un modello cristiano, né tantomeno un santino (tra l’altro ad oggi nessun giornalista ha elementi per conoscere il suo rapporto col trascendente), ma è difficile negare che con quel suo fare semplice e regale l’altoatesino stia regalando a giovani e meno giovani un patrimonio sapienziale di cui far tesoro. Senza prediche, senza miele, forse senza avere neppure coscienza di certi “semi” lasciati cadere prima, durante e dopo le sue strabilianti performance.

D’altro canto, qual è oggi l’alternativa al suo paradigma, quello che i latini condensavano nel motto Per aspera ad astra, “attraverso le asperità sino alle stelle”? Ipork o giù di lì. Ogni educatore serio e minimamente realista lo sa. Per cui, o la determinazione operosa, efficace e lieta del campionissimo di San Candido, oppure la triste, eterodiretta e banalissima pomiciata “garantita” dal format della discoteca. Tertium non datur.

(Fonte foto: Ansa)