La foto di San Giovanni Paolo II che nel 1992 Sinéad O’Connor strappò in diretta durante il Saturday Night Show, nell’immaginario collettivo rappresenta la rottura più evidente tra la cantante irlandese appena scomparsa e qualsiasi forma di religione. Ma se l’allora 26enne diresse contro la persona sbagliata la sua volontà di difendere i minori dagli abusi, e se è ancora più sbagliato continuare oggi a stimare il suo gesto come profetico («Fu la prima a denunciare l’elefante nella stanza», così il Guardian sul tema pedofilia), Sinéad O’Connor non può essere certo imprigionata a vita in quel puerile grido di rabbia. Al contrario, osservandola senza pregiudizi la vita dell’artista irlandese è imperniata a nient’altro che a un’incessante, ammirevole, coraggiosa e disperata ricerca della verità. Tanto che dopo la sua morte più di un commentatore ha invitato a mettersi in ascolto di una di una donna così “ossessionata” dal senso religioso (ma anche così distrutta dalla vita e così duellante con il trascendente) da rischiare di non essere compresa. Per l’editorialista del Catholic Herald Katherine Bennett, il fatto che «Cristo non le sia stato chiaramente rivelato attraverso la Chiesa […] è qualcosa che dovrebbe farci riflettere».
«UN GRIDO MA NESSUNA RISPOSTA»
Dopo essere arrivata a vestirsi da sacerdotessa cattolica, Sinéad O’Connor ha nuovamente cambiato il suo credo, convertendosi all’Islam, mèta definita dalla cantante «la conclusione naturale del viaggio di qualsiasi teologo intelligente». Ma per Bennett (che nella sua analisi arriva a citare quel Benedetto XVI che alla Chiesa d’Irlanda dedicò una severissima lettera pastorale), proprio qui sta il punto: «O’Connor non era un teologo intelligente. La sua ignoranza del cattolicesimo era sbalorditiva ed era stata gravemente delusa da coloro che avevano il compito di nutrire le pecore. Era una donna che gridava in agonia e non sentiva una risposta adeguata dalla Chiesa della sua terra, un fallimento di cui ha parlato il cardinale Ratzinger mentre rifletteva sull’agonia di Gesù: “Pensate a quanto soffre Cristo nella sua stessa Chiesa. Quante volte […] celebriamo solo noi stessi […]. Quante volte la sua Parola è distorta e abusata. […] Quanta sporcizia c’è nella Chiesa, […] Quanto orgoglio, quanta autocompiacimento”». Un ribaltamento di prospettiva notevole. Ma non è tutto.
UNA CONVINTA PROLIFE
Sulla vita nascente Sinéad O’Connor aveva le idee chiarissime. In Rememberings, autobiografia in cui racconta la sua famiglia disfunzionale e violenta, l’artista irlandese parla delle pressioni ricevute per abortire il suo primo bambino. Nigel Grainge, boss della sua etichetta discografica, arrivò addirittura a parlare col suo medico affinché la convincesse a interrompere la gravidanza. Queste le parole del suo ginecologo: «La tua casa discografica ha speso 100.000 sterline per registrare il tuo album. Lo devi a loro il disfarti di questo bambino». «Mi ha inoltre informata», ha continuato O’ Connor nella sua autobiografia, «che se avessi volato durante la gravidanza, il mio bambino sarebbe nato malformato». Il pesantissimo ricatto psicologico terminava così: «Mi disse anche che se volevo fare la musicista non avrei dovuto avere bambini, perché una donna non dovrebbe lasciare il suo bambino per andare in tournée, e allo stesso tempo non è sano per un bambino essere portato in tour». Malgrado le pressioni Sinead O’Connor diede alla luce Jake, il suo primo figlio (un altro suo figlio, Shane, morirà suicida a soli 17 anni).
LA LETTERA APERATA A MILEY CYRUS
In quel mondo perverso che usa le donne finendo per censurare il loro desiderio di maternità, l’artista irlandese si comportò da impavida guerriera. A confermarlo c’è un episodio illuminante legato a Miley Cyrus, seguitissima star americana. Cyrus rivelò di essersi ispirata al video di Nothing Compares 2 U (il più grande successo di O’Connor) per la realizzazione del video musicale di un suo brano, Wrecking Ball, in cui appare seminuda. Sinead O’Connor le rispose con una sapiente lettera aperta.
«Tu vali più del tuo corpo», scrisse usando parole a metà tra l’amica e la madre, «non farti ingannare, tutti ti vogliono perché fanno soldi con la tua giovinezza e la tua bellezza». Senza temere di farsi nemica l’astro nascente della musica americana, né tantomeno di risultare bigotta, arrivò a mettere in guardia Miley Cyrus con perfetta lucidità: «Che ci piaccia o no, siamo viste come modelli, e come tali dobbiamo stare estremamente attente ai messaggi che inviamo alle altre donne. E il messaggio che tu continui a mandare è che è in qualche modo bello essere prostituite. É così poco cool, Miley, così pericoloso. Non siamo semplicemente oggetti del desiderio. Ti incoraggerei a inviare messaggi più sani ai tuoi coetanei. Tu e loro valete di più». Impossibile dire meglio.
IL GESUITA FOLGORATO
Che Sinéad O’Connor sia stata creata per una grandezza che il mondo ha intravisto nella bellezza della sua voce e del suo viso lo racconta anche una testimonianza apparsa su America, la rivista dei gesuiti americani. In un reportage tutto da leggere, Matthew Cortese, sacerdote di New York, scrive come l’artista irlandese «sia diventata mia amica e mi abbia insegnato a pregare». Un “debito spirituale” scaturito dall’album Theology, uscito nel 2007, contenente testi biblici musicati e frutto di alcune lezioni sui profeti tenute da un sacerdote domenicano a cui O’Connor partecipò.
In un racconto pieno di pathos, raccontando come quell’accompagnamento musicale lo avesse scavato dentro, padre Cortese scrive: «Volevo che “i rami dei potenti” fossero spezzati e che “i deboli” fossero “rivestiti di forza”, come cantava O’Connor in The Glory of Jah, la sua interpretazione del Cantico di Anna contenuta nel secondo capitolo del primo libro di Samuele. […] Quando ha cantato “possa la gloria di Jah durare per sempre”, lo volevo anch’io, ci ho creduto». Arrivando a parlare di Something Beautiful, brano in cui Sinéad O’Connor intreccia le sorti del profeta Geremia con le sue, il giovane gesuita annota che la voce dell’artista ad un certo punto «diviene quella del profeta, quella dell’amato Jeremiah: “Ora può una sposa dimenticare i suoi gioielli? O una domestica i suoi ornamenti? Eppure, la mia gente mi ha dimenticato… Chi curerà le loro ferite?”. […] Il discorso di Dio e il discorso del mendicante si costruiscono simultaneamente l’uno sull’altro».
«MI HA TOCCATO IL CUORE»
Nelle parole del sacerdote americano, nei suoi ricordi da seminarista, c’è forse la chiave per interpretare l’esistenza dolorosa e benedetta di Sinéad O’Connor. «Quando ci ripenso», ha scritto il sacerdote, «probabilmente non è stata la scelta più salutare quella di sedermi nella mia buia stanzetta del dormitorio ascoltando “Theology” a rotazione, […] avrei potuto fare amicizia e bere qualche drink con i miei compagni di classe. Ma lei mi ha attratto e mi ha toccato il cuore. Ho trovato guarigione nelle parole e nei sentimenti. Ho sentito il pathos di Dio: la vigna calpestata, la sposa dimenticata, il desiderio di relazione. O’Connor aveva davvero creato qualcosa di meraviglioso per Colui che avrebbe potuto curare le sue ferite». Il gesuita conclude così: «Mi stava insegnando qualcosa su ciò che conta: il perseguire la giustizia di fronte al male, il dovere dell’accompagnamento nella sofferenza, l’importanza del canto quando le cetre sono ormai distrutte. Tutte queste lezioni si sarebbero rivelate formative, come gesuita, come prete, come cristiano. […] Possa la sua memoria essere una benedizione e possa risplendere su di lei la luce perpetua». Amen.
(Fonte foto: screenshot, YouTube)
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