Molti giornali, nelle ultime ore, hanno dato evidenza dell’intervista che Silvia Romano ha rilasciato al giornale online di stampo islamista La Luce, e lo hanno fatto con titoli che riportano il virgolettato (più o meno sempre lo stesso): «Il velo è per me simbolo di libertà». Effettivamente la giovane ha fatto questa affermazione, ma all’interno di una risposta molto più articolata: «Il concetto di libertà è soggettivo», ha dichiarato la giovane, «e per questo è relativo. Per molti la libertà per la donna è sinonimo di mostrare le forme che ha; nemmeno di vestirsi come vuole, ma come qualcuno desidera. Io pensavo di essere libera prima, ma subivo un’imposizione da parte della società e questo si è rivelato nel momento in cui sono apparsa vestita diversamente e sono stata fatta oggetto di attacchi ed offese molto pesanti. C’è qualcosa di molto sbagliato se l’unico ambito di libertà della donna sta nello scoprire il proprio corpo. Per me il mio velo è un simbolo di libertà, perché sento dentro che Dio mi chiede di indossare il velo per elevare la mia dignità e il mio onore, perché coprendo il mio corpo so che una persona potrà vedere la mia anima. Per me la libertà è non venire mercificata, non venire considerata un oggetto sessuale».
Tralasciamo in questa sede analisi relative alla politica internazionale, al concetto di filantropismo, al proselitismo di Silvia Romano… soffermiamoci solamente sulle frasi appena citate, che presentano luci e ombre.
UNA FALSA IDEA DI LIBERTÀ
Le parole della Romano hanno suscitato clamore soprattutto in relazione al suo modo di declinare il concetto di libertà: in molti, infatti, hanno rilevato un cortocircuito logico tra il fatto di abbracciare una fede religiosa e le conseguenze anche molto concrete che questa comporta, pur con i limiti dell’islam, e il mito della libertà che abbaglia l’Occidente al motto di “Prohibido prohibir”. Che libertà è, infatti, questa? Una libertà contrassegnata in negativo (si parla di togliere, di annullare regole, limiti, etc.), dalle sfumature radicali, ma soprattutto non orientata ad abbracciare il bene (o, meglio, il Bene) per la persona in quanto tale, che preservi insomma la sua dignità in pienezza. Una libertà, infine, che esce quindi dai margini fumosi della soggettività e del relativismo e che per essere conseguita esige anche alcuni vincoli.
LA DONNA E IL CORPO
Facciamo qui solo un accenno rispetto al fatto che l’islam, di cui la Romano si fa oggi testimonial, non è una religione che ha una grande considerazione della donna. Anzi. Il tema stesso dell’imposizione del velo (il cui rifiuto di portarlo ad alcune è costato la vita), così come la poligamia, rendono ben evidente che quella dignità di cui si parlava poc’anzi, che la vera libertà è orientata a preservare, non trovano una piena risposta nella religione islamica.
Un altro aspetto sollevato dalla giovane milanese appare tuttavia interessante, seppur controcorrente, ed è quello di come e cosa sia giusto e lecito mostrare del proprio corpo (soprattutto per le donne, ma il discorso interessa anche gli uomini). A tale proposito, nella Prima lettera ai Corinzi si legge: «“Tutto mi è lecito!”. Ma non tutto giova. “Tutto mi è lecito!”. Ma io non mi lascerò dominare da nulla. “I cibi sono per il ventre e il ventre per i cibi!”. Ma Dio distruggerà questo e quelli; il corpo poi non è per l’impudicizia, ma per il Signore, e il Signore è per il corpo. Dio poi, che ha risuscitato il Signore, risusciterà anche noi con la sua potenza. Non sapete che i vostri corpi sono membra di Cristo? […] O non sapete che il vostro corpo è tempio dello Spirito Santo che è in voi e che avete da Dio, e che non appartenete a voi stessi? Infatti, siete stati comprati a caro prezzo. Glorificate dunque Dio nel vostro corpo!».
San Paolo qui richiama dunque i fedeli al fatto che «il corpo è tempio dello Spirito Santo». Esso va dunque curato sia in senso fisico, sia in senso estetico, ma sempre tenendo a mente il fatto che si tratta di uno strumento per rendere gloria a Dio: non deve diventare, come oggi è comune che accada, un idolo cui affidare in toto il proprio valore, non dev’essere utilizzato come strumento di seduzione, non deve diventare un mezzo per abbandonarsi alla lussuria. Il corpo va trattato con rispetto, va sottomesso alla logica del pudore, va governato nella temperanza, sempre tenendo a mente il fine per cui ci è stato dato.
ANDARE OLTRE
La dichiarazione di Silvia Romano, dunque, con tutti i limiti e le contraddizioni del caso, stimola a interrogarsi su un Occidente che spesso si ferma al “contenitore” e che si mostra oramai sempre più privo di un afflato interiore che lo faccia uscire dall’aridità spirituale e lo spinga ad andare oltre, a ricercare, nella Verità, la verità delle singole persone, arrivando così ad abbracciare la libertà vera.
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