Per gentile concessione dell’editore, pubblichiamo di seguito, in esclusiva, un estratto del libro di Toni Capuozzo “Giorni di guerra – Russia e Ucraina il mondo a pezzi” (Signs Publishing Srl, 2022).
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Fino alla fine di agosto i due nemici erano nella posizione perfetta per negoziare, se lo avessero voluto: entrambi potevano cantare vittoria e leccarsi le ferite. Adesso non più, e delle due l’una: o crediamo che sia possibile un crollo del fronte russo, o ci rassegniamo a quello che la NATO sta preparando: una lunga guerra di logoramento. Nel primo caso, con gli ucraini che ritornano ai confini dell’atlante politico, che si riprendono le terre dove non esercitavano la loro sovranità dal 2014, dovremo fare i conti con l’aspetto più trascurato dai nostri media. Che quella in corso è anche una guerra civile, tra ucraini. Nel nord del distretto di Kharkiv i russi si sono ritirati sino oltre il posto di confine di Hopitkva. Con loro, nella descrizione del Corriere della Sera: “in una lunga fila di auto sono fuggiti migliaia di civili. Non necessariamente filorussi, ma persone che hanno paura di morire sotto le bombe”.
Voi sapete che su 5 milioni di abitanti del Donbass almeno settecentomila avevano anche il passaporto russo. Non vorremmo essere tra le migliaia di altri che avevano fatto richiesta di riceverne uno, quando i funzionari di Kiev metteranno mano agli archivi delle prefetture espugnate. E l’Europa di guerra saprà ottenere una qualche forma di protezione per coloro che non riusciranno a fuggire? Non ci sembra un clima di addio alle armi, di riconciliazione, a giudicare dagli arresti degli insegnanti che a Balaklja, avevano accettato i programmi scolastici dell’invasore. E un’eventuale, repentina sconfitta dei russi naturalmente porrebbe il problema della stabilità di un Paese enorme e pericoloso per le sue dimensioni, per i suoi arsenali, per le grandi risorse naturali e gli appetititi che destano.
Può una sconfitta spogliare Putin dell’aura di uomo forte e vincente? Certo, ma c’è qualcuno che ha in tasca un’alternativa, o è un salto nel buio? Nel secondo caso — e che cioè si tratti di una vittoria tattica, importante ma non decisiva nell’esito finale della guerra — credo che l’idea che le armi avvicinino la pace sia destinata a essere smentita dall’incrudelirsi della guerra. Già le prime notizie — i missili sulle centrali termoelettriche, il black out dell’Ucraina orientale — annunciano qualcosa che corre tra la vendetta e il ricorso definitivo ad armi più importanti (Kiev ha definito il bombardamento delle centrali “terroristico”… senza scomodare il ricordo della figlia di Dugin, basta risalire ai bombardamenti Nato sulla ex Jugoslavia, alle bombe alla graffite appunto contro le centrali…
Non mi piace, ma non ho mai definito Putin “un pazzo”. Eppure temo un Putin sull’orlo della sconfitta: cosa può fare un uomo che intende il potere come lui lo intende quando viene messo con le spalle al muro? Come ogni guerra, anche questa ha i suoi fronti interni. Lo smargiasso ceceno Kadirov polemizza con le strategie moscovite, e promette rivincite. Zelensky si concede una libera uscita dal ruolo duro ma elegante del combattente leale: “l’esercito russo ha mostrato la sua parte migliore, le terga”. La conferma che le guerre non migliorano nessuno, e non risparmiano alcuno: alla guerra si va come alla guerra, direbbero i francesi. L’odore della vittoria dietro l’angolo è affascinante, ma i profumi hanno i loro inganni. Non era l’avventura di una notte, ma un matrimonio, quello nostro con la guerra ucraina. (foto: Imagoeconomica)