Come il muro contro cui ieri si è schiantato ed è esploso il Boeing in Corea del Sud. Così deve essere sembrata la vita ai due coniugi piemontesi che tre giorni fa se la sono tolta. Lo hanno fatto a distanza di due anni dal suicidio della figlia di 28 anni, Chiara, avvenuto dopo che aveva confessato gli abusi sessuali subiti da un parente durante l’infanzia. Un dolore che ha serpeggiato lungo i suoi anni di crescita restando misteriosamente invisibile fino alla comparsa di attacchi di panico, ansia, insonnia. Avrà provato a tenerlo nascosto? Ci avrà pensato la sua mente dotata dalla natura di collaudati sistemi di protezione in caso di traumi tanto gravi? Alla fine non è più riuscita a tacere: ha parlato ai suoi genitori raccontando cosa aveva subito da bambina e poco dopo si è tolta la vita impiccandosi. E così il dolore si è propagato a loro due, il papà e la mamma, annidandosi in ogni loro fibra e li ha contagiati della stessa disperazione, maggiorata del senso di colpa che li avrà inchiodati alla loro, fino a prova contraria, incolpevole mancata vigilanza, al desiderio impossibile di tornare indietro, di fare ciò che non avevano fatto o almeno di chiederne conto all’orco, che invece si era già sfilato dalla vita morendo tempo prima.
Così, non solo l’ultimo tratto deve essere sembrato loro un precipizio di disperazione in furiosa accelerazione, ma a ritroso, tutta la traiettoria percorsa come madre e padre; colpevoli di non aver sospettato, prevenuto, riparato in tempo. Lui, Alessandro Giacoletto, 64 anni, era un medico di famiglia; lei, Cristina Masera, di sei anni più giovane, era farmacista. Racconta il sito di Skytg24 che i due coniugi «avevano di recente rivelato ciò che era successo alla figlia a un giornale locale, ‘L’Eco del Chisone’, in un articolo uscito il 4 dicembre. Pochi giorni dopo, il 9 dicembre, i due sono stati trovati nella loro auto chiusa nel garage di casa, in condizioni disperate. La donna è morta nove giorni dopo, l’uomo il 23 dicembre. “Suicidio – avevano spiegato al giornale riferendosi alla vicenda della figlia – non è la parola corretta. Chi pone fine alla sua vita a causa di una violenza è vittima di un omicidio psichico e il suo aguzzino è un assassino”».
E la speranza cristiana cosa può davanti a un disastro simile? È troppo tardi anche per lei? Anche per un atterraggio d’emergenza? Non fanno rabbia, in queste circostanze le parole di consolazione che potrebbe offrire? Qualcosa sul destino buono della figlia, sulla giustizia e magari sulla misericordia infinita di Dio che, però, sembra a sua volta essersi dimenticata di coprire la vita della loro ragazza? Sì, se sono parole e basta. Sì, se chi le offre non è disposto a farsi compagno di strada, piangendo dello stesso dolore e scommettendo sul Solo che, senza togliere malattie, libertà che cedono alla perversione, morti ingiuste, ne ha trasformato la natura, le ha assunte tutte in Sè e le ha fatte passare dalla cruna dell’ago ormai senza punta della morte, cucendole all’eterno. Tutto il dolore, ogni dolore innocente – così radicalmente ingiusto- può diventare in Cristo un’altra cosa. Ma Cristo è il Dio che si è incarnato e la sua speranza esige di essere trasfusa da un cuore all’altro, tra noi meschini eppure toccati dalla grazia: siamo tutti donatori compatibili gli uni degli altri, non possiamo fingerci impegnati altrove perché, è qui da vedere, le persone rischiano di morire se non ricevono questo sangue rinnovato.
Molte porte sante sono state già aperte e altre verranno aperte nelle singole diocesi prossimamente, il Giubileo della Speranza è iniziato e con esso il particolare “tempo di grazia” che ci offre. Come nella sua origine vetero-testamentaria è tempo di liberazione e perdono, di riconciliazione e rinnovata conversione a Dio e anche di nuovo e più solido impegno verso il prossimo. Non ci sono vicende, malattie, orrori e peccati tanto terribili da escluderci dalla possibilità di tornare a Dio. Sarebbe valso anche per il parente che ha ferito così profondamente una bambina indifesa, quasi uccidendola in differita, come hanno detto i suoi genitori. Ci scandalizza, forse, questa larghezza di Dio. Ma è talmente larga, alta e profonda che riesce a tenere in sé la giustizia, la necessità del pentimento e della riparazione e la piena consolazione delle vittime. Pochi giorni fa è morto Padre Aldo Trento, sacerdote toccato in modo impressionante dal carisma di don Giussani e missionario in Paraguay, impegnato con gli ultimi che nessuno vuole e cerca, innamorato di Cristo nell’umanità dei ritenuti infimi. Ecco, lui stesso diceva che la sola forza che ci permette di reggere l’urto della vita, di vincere il nulla che sembra volerci inghiottire sta nell’abbraccio di un’amicizia. In una lettera inviata alla rivista Tempi nel settembre del 2013 diceva: « Papa Francesco ci sta parlando continuamente di amore, di carità, di tenerezza perché cosciente che l’uomo respira e vive solo dentro un abbraccio pieno di fraternità. Ma questo è il cristianesimo, è la bellezza dell’Avvenimento cristiano, è ciò per cui uno ne rimane affascinato. Incontrare degli amici che ti vogliono così bene è l’unica autentica terapia, la sola veramente umana che permette all’io di rinascere» .
Che dolore sapere che per Chiara e i suoi genitori questo abbraccio umano è mancato. Resta tutto lo spazio che Dio sa prendersi anche negli ultimi istanti direttamente nell’anima della persona. Per questo si può continuare a pregare con piena speranza.
(Immagine Freepik)
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