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Shakespeare era cattolico. Ci crede anche Rowan Williams, l’ex leader della Chiesa anglicana
NEWS 23 Agosto 2016    

Shakespeare era cattolico. Ci crede anche Rowan Williams, l’ex leader della Chiesa anglicana

di Elisabetta Sala

 

Gli inglesi, si sa, adottarono il nuovo calendario gregoriano, al posto di quello (obsoleto) romano, a denti stretti e con quasi due secoli di ritardo (nel 1752) perché, asserì Voltaire, avevano preferito essere in disaccordo col sole piuttosto che d’accordo col papa.

Accadde più o meno lo stesso in letteratura quando, nell’Ottocento, alcuni studiosi avanzarono timide ipotesi riguardo a possibili simpatie cattoliche da parte di Shakespeare. Apriti cielo: i baroni del mainstream risero in faccia a quei tapini e la questione fu (per loro) rapidamente archiviata. Ma la pista, ormai, era aperta.

Il minuscolo sentierino si fece strada battuta, e da sempre più piedi. Con gli anni, le ricerche si stratificarono, emersero nuovi indizi che fecero luce su una serie di elementi.

Tutti i particolari biografici in nostro possesso furono riconsiderati, l’intero Canone fu riletto, gli eventi politici del tempo furono passati al setaccio, fino a trasformare quella che pareva un’ipotesi strampalata in una probabilità molto alta.

Ad oggi, è verità “universalmente riconosciuta” non solo che il grande drammaturgo provenisse da un ambiente cattolico, bensì anche che quel suo cattolicesimo non si limitasse ai parenti stretti (genitori e figlia), ma si estendesse ad amici, vicini e conoscenti ad ampio spettro: non per nulla il suo Warwickshire fu definito, da Antonia Fraser, come un vivaio di ricusanza (i ricusanti, ricordo, erano quei cattolici che si rifiutavano di frequentare le funzioni anglicane e che subivano per questo pesanti persecuzioni).

Verità tanto universale, di fatto, da essere riconosciuta, qualche anno fa, persino dall’allora arcivescovo di Canterbury, Rowan Williams.

Che fare, allora, per l’autorità gabbata dello “Shakespeare Establishment”, quella corrente ancora dominante tendente a trasformare il Bardo in un abile esteta politicamente e religiosamente corretto? Sminuire è la parola d’ordine. Sminuire l’importanza della fede nei drammi, sminuire i legami del Bardo con gli ambienti cattolici, sminuirne la dissidenza.

L’affiliazione religiosa non è importante, dicono. Ma come? Il rapporto tra anglicani e cattolici non è forse il perno attorno cui ruotò l’intero sistema elisabettiano e giacobita: storia, letteratura, politica, alleanze, guerre, commercio, vita quotidiana e chi più ne ha più ne metta?

Ebbene, la novità recente in questo campo è che lo stesso Williams è tornato a ribadire il concetto: l’ex primate è infatti appena uscito con un’opera teatrale, Shakeshafte.

L’opera, composta da 11 scene, era probabilmente completa già da almeno un paio d’anni, ma ha calcato le scene per la prima volta lo scorso 27 luglio, parte della legione di iniziative per il quattrocentenario della morte del grande drammaturgo.

Williams segue passo passo la tesi formulata da Ernst Honigmann una trentina di anni fa, secondo la quale il giovanissimo Shakespeare entrò a contatto diretto con gli ambienti dissidenti e addirittura con i missionari gesuiti.

Il nome “Shakeshafte” non sarebbe infatti che una variante di “Shakespeare” e compare nel testamento di un nobile cattolico del Lancaschire, Alexander Hoghton, che ospitò il famoso gesuita Edmund Campion durante la sua missione segreta evangelizzatrice. Honigmann ipotizzò che intorno ai sedici anni Shakespeare, lasciate scuola e famiglia, si recasse appunto nel Lancashire, definito da R. Wilson come “il quartier generale segreto della controriforma inglese”, a seguito di Campion.

Andò a finire male, naturalmente: nel 1581 Campion fu tradito, arrestato, torturato e giustiziato; i magnati che lo avevano ospitato furono arrestati, le loro case perquisite, e Hoghton morì in prigione.

L’opera di Williams consiste, essenzialmente, in una serie di dialoghi tra Shakespeare e il missionario, al termine dei quali l’uno si avvia verso la grandezza terrena, l’altro verso la glorificazione del martirio.

Ma tutto questo non è che gioco letterario, asserisce l’ex primate quasi a giustificarsi. Secondo lui, infatti, il vero Shakespeare non frequentava molto le chiese, a qualunque denominazione appartenessero.

E, in ogni modo, era un tipo moralmente riprovevole. Ah, beh, se lo dice lui… Del resto, la questione ha un’importanza secondaria.